Genova, nei primi anni Novanta fu bloccata la costruzione di un nuovo ponte vicino al Morandi

Il primo a rendersi conto che quel ponte era malato fu Riccardo Morandi, l’uomo che l’aveva progettato.

In uno studio scientifico pubblicato nel 1979, dodici anni dopo l’inaugurazone del viadotto, l’ingegnere scriveva che “l’aggressività atmosferica è ciò che rappresenta una condizione ambientale sicuramente negativa per questa struttura”. E aggiungeva: “Penso che in pochi anni si dovranno effettuare interventi di rimozione delle tracce di ruggine sui rinforzi per procedere a iniezioni di resine epossidiche dove necessario e coprire tutto con elastomeri ad alta resistenza chimica”. Morandi aveva ben chiari i problemi e indicava alcune possibili soluzioni.

Passano dieci anni. L’aumento esponenziale del traffico (sia come numero di mezzi che come peso dei camion) e i dubbi sulla tenuta della struttura inducono il governo Andreotti (in carica dal 22 luglio 1989 al 12 aprile 1991) a pensare ad un raddoppio del ponte, per alleggerire il Morandi. Al ministero delle Infrastrutture c’è Giovanni Prandini. L’esecutivo stanzia un bel bottino per Genova: mille miliardi di lire, devono servire per i lavori necessari alle Colombiadi 1992 ed anche per costruire una valida alternativa viaria al ponte Morandi.

Si realizza il progetto e i disegni. Non era la Gronda, di cui si parla oggi, ma un viadotto che avrebbe collegato il centro della città al ponente. Sarebbe stato costruito settecento metri a Nord del Morandi e, superato il vuoto, la strada sarebbe finita in una galleria da costruire. Oggi sarebbe stata una validissima alternativa al ponte crollato e, tra l’altro, avrebbe permesso la chiusura del Morandi e la sua completa (oggi possiamo aggiungere anche fondamentale) ristrutturazione. Purtroppo, però, quel secondo ponte non fu mai realizzato. Per quale motivo?

I politici iniziarono a litigare, dividendosi fra chi lo riteneva indispensabile e chi, invece, lo bollava come l’ennesimo spreco mangiasoldi, ad uso e consumo dei partiti (siamo agli albori di Tangentopoli). Sorsero anche dei comitati di cittadini, come avvenne più tardi coi “No Gronda”. Alcuni protestarono anche per difendere le serre di basilico nella zona di Pra. Come andò a finire? Tra proteste e contestazioni, sempre più forti, alla fine il progetto sfumò, nel senso che non venne mai presentato un piano concreto per la realizzazione del ponte.

Genova si dovette accontentare dei soldi per le Colombiadi ma niente nuovo ponte. I fondi finirono in Veneto, per finanziare altre opere pubbliche. E il capoluogo ligure perse un’occasione d’oro per dotarsi di un’infrastruttura indispensabile.

IL GIORNALE.IT

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