L’inchiesta shock. Ecco come ci infinocchiano i migranti per fingersi profughi.

Un’inchiesta che è ancora in corso sta mostrando tutte congetture che i migranti mettono in atto pur di ricevere richiesta d’asilo.

L’iter prevede che, dopo essere arrivati in Italia, i clandestini facciano la richiesta di asilo politico. Assistito dalle associazioni pro-immigrazione che lo istruiscono a dovere su cosa dire e cosa non dire, deve motivare la sua richiesta di asilo politico alla «Commissione nazionale per il diritto di asilo», l’organismo preposto del Viminale, articolato in 30 commissioni territoriali e 20 sezioni da nord a sud.

Se la domanda viene respinta l’immigrato fa ricorso al Tribunale di competenza. Ed è così che i ricorsi abbondano, visto che la maggioranza delle richieste di asilo vengono respinte perché l’immigrato non è riconosciuto come un vero profugo.

Ma cosa raccontano gli immigrati per sostenere la propria domanda di asilo? I finti profughi, cioè la maggioranza assoluta dei richiedenti asilo, dimostra una grande fantasia nel ritenere plausibile qualsiasi difficoltà in patria per essere accolti dall’Italia e dall’Europa come profughi.

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Molti nigeriani, ad esempio, affermano di essere soggetti ad un malocchio: raccontano di una setta che sarebbe presente in Nigeria e che perseguita chi non entra a far parte dell’associazione. Oppure, altra storia ricorrente, quella dello «zio cattivo», un parente malvagio che per qualche motivo gliela deve far pagare e perciò non possono tornare a casa.

«Tra gli uomini è tipica la storia dei problemi di eredità racconta un mediatore culturale che collabora con le commissioni territoriali del Viminale -. Sarebbero scappati perché, una volta diventati orfani, un loro parente malvagio e più ricco starebbe provando ad impossessarsi del loro patrimonio. La storia suona così: «Lo zio mi ha denunciato per cose che non ho mai fatto, ma vista la sua posizione sociale è più potente di me.

E per questo ho paura». Le donne invece raccontano spessissimo storie di sfruttamento sessuale, alcune ragazze raccontano di essere lesbiche e qualcuno porta anche a supporto del proprio racconto un foglio stampato da internet di un articolo riguardante un evento di omofobia nel suo paese. Le storie sono tutte simili e questo rende sospette. Anche perché dopo il colloquio col mediatore culturale può capitare che chiedano: «Ho detto bene la storia?».

E così per molti altri storie simili. Grazie agli avvocati che assistono gli immigrati, ai volontari delle Ong che li preparano. Avanti, c’è posto per tutti in Italia. Ma la pacchia, finalmente, è finita.

 

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