“Fatta in mille pezzettini”. Saman Abbas, orrore senza fine

«Ha detto: io faccio piccoli pezzi e se volete porto anch’io a Guastalla. Buttiamo là, perché così non va bene». Lo ha riportato il fratello minorenne di Saman Abbas, la diciottenne pachistana scomparsa la notte del 30 aprile a Novellara (Reggio Emilia), riferendosi a ciò che ascoltò proprio quel pomeriggio in casa. Ci sarebbe stata una riunione, a cui avrebbero partecipato lo zio Danish Hasnain e altri parenti, in cui si sarebbe parlato delle modalità con cui far sparire il cadavere di Saman, smembrandolo:

la giovane si era opposta a un matrimonio combinato con un cugino di 11 anni più grande di lei, e per questo doveva essere punita. Il Tribunale del Riesame di Bologna ha respinto il ricorso del cugino Ikram Ijaz, unico indagato in carcere per l’omicidio in concorso con un altro cugino, lo zio e i genitori (tutti latitanti, probabilmente fuggiti tra Spagna e Pakistan).

Secondo i giudici infatti partecipò alla fase preparatoria del delitto di Saman, scavando la fossa dove gettarne il cadavere la sera del 29 aprile (come testimonia un video che li riprende con le pale in mano). La notte tra il 30 e il primo maggio arrivò a casa degli Abbas al seguito dell’autore dell’omicidio, lo zio Danish Hasnain, con un altro cugino complice. Per questo «l’ipotesi più probabile e qualificata è che» i due cugini «abbiano anche partecipato alla materiale esecuzione dell’omicidio», dando manforte allo zio.

«Mamma, lo sposo è troppo grande per me»

«Parlando con mia madre le dicevo: dai mamma, tu sei una mamma, lui è troppo grande per me, anche lui non vuole sposarsi con me. Lei mi rispondeva: non è una decisione mia». Sono le parole che Saman Abbas aveva affidato ai carabinieri il 3 febbraio mentre si trovava in una comunità protetta dopo il rifiuto del matrimonio combinato e l’allontanamento da casa.

«Dal primo momento in cui ho saputo che la loro intenzione era quella di farmi sposare con mio cugino, io ho detto di non volerlo fare». Saman ha raccontato anche delle violenze subite dal padre. «Le reazioni di mio padre erano violente a livello fisico. Mi picchiava. Una volta, 5 mesi fa, ha lanciato un coltello nella mia direzione e non ha colpito me, ma mio fratello che aveva 15 anni, ferendolo a una mano». E poi: «mi picchiava perché io volevo andare a scuola, ma lui non voleva». Quando scoprì che Saman aveva un fidanzato segreto, un connazionale ventunenne conosciuto sui social, arrivò a minacciarla di morte.

La storia d’amore

Per quattro mesi sono andate avanti le ricerche per trovare il corpo di Saman. Quasi 70 giorni passando palmo per palmo le campagne del Reggiano, senza risultato. Una lunga vicenda che non vede ancora una fine ma che ha un inizio ben preciso: un casolare bianco, dentro un’azienda agricola di Novellara, in cui viveva la famiglia di orgine pachistana degli Abbas. Qui, il 30 aprile, si è svolta la riunione tra parenti che ha condannato a morte la giovane Saman, colpevole di essersi opposta a un matrimonio combinato con un cugino molto più grande di lei e di essersi fidanzata con un altro ragazzo. Saman era uscita di casa e si era nascosta in un centro protetto, dove cercava di vivere la sua storia d’amore tra le minacce dei genitori alla coppia e ai parenti di lui. «Continuo a ricevere minacce – aveva raccontato -. I genitori di Saman mi scrivono sui social network da profili che poi vengono chiusi e mi insultano. Temo per la mia famiglia in Pakistan».

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