Gli agenti ammazzati a Trieste rischiano di non aver giustizia

Come spesso accade, troppo in fretta, ci si dimentica di quanti valorosamente cadono per gli ideali che ispirano la funzione di chi indossa una divisa.

Certe ferite però, tornano a farsi sentire, più dolorose che mai, quando vicende umane e giudiziarie si intrecciano in maniera irreversibile.

Era il 4 ottobre 2019 quando nella tranquilla città di Trieste, un cittadino di origine dominicana, dopo essere stato fermato per un banale furto di uno scooter, assassinava con 3 colpi di pistola l’agente Pierluigi Rotta e con 4 il collega Matteo Demenego all’interno dei locali della questura.

L’indomani tutta l’Italia si indignava per l’accaduto, stringendosi in un virtuale abbraccio non solo ai familiari delle vittime, ma all’intero Corpo della Polizia di Stato che aveva subito una perdita tanto atroce quanto ingiusta, considerata soprattutto la giovanissima età dei due agenti.

Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, quindici mesi dopo la loro morte, rischiano di non avere giustizia.

I legali del trentenne dominicano, Alejandro Stephan Meran, hanno infatti chiesto al giudice per le indagini preliminari, di anticipare la prossima udienza in programma per l’1 marzo. Alla base di questa richiesta, vi sarebbero le condizioni mentali di Alejandro Meran, a dire dei suoi legali “in continuo peggioramento”.

Meran è detenuto presso la casa circondariale di Verona in regime di osservazione psichiatrica. I due avvocati che lo difendono, come riporta l’agenzia Adnkronos, denunciano “un radicale peggioramento delle condizioni di salute mentale del 30enne, il quale ha intrapreso una vertiginosa parabola discendente che l’ha portato ad una repentina interruzione del trattamento curativo in corso un atteggiamento di chiusura che sta rendendo imminente la necessita’ di adozione di un ricovero coatto in regime di Tso”.

Questo, per gli avvocati, oltre a avere serie ripercussioni sulla cura, inciderebbe notevolmente anche sulla strategia di difesa, privata di ogni dialogo a causa di questa chiusura, proprio a pochi giorni dal deposito di una perizia che ha il compito di stabilire se il dominicano sia capace di intendere e di volere, oltre che a stabilirne grado di pericolosità sociale e capacità dello stesso di partecipare al processo a suo carico.

I legali del trentenne parlano di una condizione patologica severa, di una chiusura in sé stesso, che presuppone il pericolo che Meran “non abbia la capacità di stare in giudizio”.

Ecco perché sarebbe necessario anticipare l’udienza, perché se accertata l’incapacità di Meran di prendere parte al processo, questi potrebbe essere collocato in una struttura sanitaria nella quale finire di scontare il regime di detenzione.

“Non è un escamotage per farla franca ma è un’istanza per consentire a un ragazzo di essere curato e poter continuare a vivere – dice uno dei legali, l’avvocato Bevilacqua – Questa tragica vicenda semplice sotto un profilo tecnico-processuale non può trasformarsi in un giudizio sommario per soddisfare il desiderio di vendetta della pubblica opinione. Meran va curato perché non merita di morire in una cella non sarebbe giustizia”.

Non la pensa così invece chi veste quella divisa e per cui questa notizia risuona come l’ennesima beffa nei confronti dei poliziotti che, quotidianamente, rischiano la propria incolumità per dovere di servizio.

“Non si può minimizzare parlando di desiderio di vendetta della pubblica opinione, il dolore per la morte di due giovani colleghi uccisi in quel modo. Dopo quasi 15 mesi, nonostante la semplicità della vicenda fattuale, ancora non è stata esercitata l’azione penale nei confronti di Meran – dice a IlGiornale.it Fabio Conestà, Segretario Generale del Movimento Sindacale Autonomo di Polizia – Non solo, sembra che della memoria dei nostri valorosi colleghi non si debba più di tanto parlare”.

Al Mosap, che nelle ore successive al fatto aveva depositato, mediante il proprio legale di fiducia, avvocato Antonello Madeo, la nomina quale danneggiato dal reato, per mantenere alta l’attenzione sulla vicenda, la magistratura inquirente triestina aveva negato il diritto ad avere notizie sullo stato del procedimento, respingendo l’istanza formalmente avanzata dal difensore. E proprio alla luce di ciò il sindacalista, si dice perplesso nell’apprendere dai media queste ‘novità’.

Il sindacato, infatti, solo dalle dichiarazioni rese alle agenzie dai legali di Meran, apprende dell’udienza fissata per il 1° marzo, finalizzata all’espletamento dell’incidente probatorio, che potrebbe avere quale esito il proscioglimento totale di Alejandro Meran se ritenuto non imputabile.

“Un epilogo che suonerebbe davvero come uno sberleffo alla memoria non solo dei ragazzi vittime di questa vicenda, ma a tutti coloro che muoiono per servire lo Stato” afferma Conestà, che aggiunge “Il Mosap non intende certo disconoscere il sacrosanto diritto alla difesa e la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, ma ribadire fermamente la necessità che non ci si dimentichi troppo in fretta dei caduti in servizio, anche per evitare pericolosi atti emulativi. Non si tutelano i diritti con una sovrastima dei doveri, nessuno tocchi i servitori dello Stato”.

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