Si combattono su soldi e spie: la vera guerra di Pd e renziani

L a maggioranza giallorossa sembra sfaldarsi su spie e soldi. Dopo 15 mesi il secondo governo di Giuseppe Conte si avvia al capolinea.

I partiti litigano per l’intelligence e il Recovery fund e nei palazzi gira il nome di Marta Cartabia, presidente uscente della Corte costituzionale, per la guida di un esecutivo istituzionale. La torta dei fondi del Recovery (209 miliardi) porta al pettine i nodi nell’alleanza giallorossa. E poi l’ostinazione del premier sui Servizi segreti apre un solco invalicabile tra Palazzo Chigi e gli alleati (Pd e Italia viva). I Cinque stelle sono spariti: il ministro degli Esteri Luigi di Maio, leader di fatto del Movimento, si è defilato e guarda dalla Farnesina la crisi che sta travolgendo Conte. Spera di prendere il posto dell’avvocato di Volturara Appula. Nello scenario peggiore, le elezioni anticipate, Di Maio studia le mosse per la rielezione in Parlamento in barba alla regola dei due mandati. Insomma, giorno dopo giorno il capo del governo perde alleati e appoggi. L’ultima avvisaglia arriva dal Pd. Il senatore Luigi Zanda, un tempo vicinissimo al ministro della Cultura Dario Franceschini (un altro che punta alla poltrona di Palazzo Chigi), avverte: «O Conte accetta il confronto con i partiti che lo sostengono, o il suo governo avrà vita brevissima», osserva in un’intervista al Corriere della Sera. Secondo il senatore Pd «al punto in cui sono arrivate le cose è difficile che si vada avanti senza un chiarimento vero, nei contenuti e sulla struttura del governo». «I governi di coalizione – spiega Zanda – sono molto faticosi e chi li presiede deve sapere che il confronto anche rude con i partiti che lo sostengono sarà sempre il suo pane quotidiano». Anche Zanda preme il piede sul tasto intelligence: «I Servizi sono il punto nevralgico e delicatissimo dell’apparato dello Stato, non dovrebbero mai entrare nella sfida politica su giornali e nei talk show. Conte ha tutto il diritto di tenersi la competenza perché la legge gli dà questo potere, ma sarebbe bene che i Servizi fossero seguiti da una personalità a tempo pieno». Il tema spie è uno dei nervi scoperti nella maggioranza. Iv e Pd chiedono a Conte di mollare la delega. Come hanno fatto in passato i premier Prodi, Berlusconi, Letta e Renzi. Ma l’inquilino di Palazzo Chigi è andato oltre: a luglio, con una presunta forzatura interpretativa della legge che prevede quattro anni di incarico rinnovabili una sola volta, ha prorogato Mario Parente al vertice dell’Aisi. Il 24 novembre, pochi giorni dopo lo stralcio della Fondazione, ha rinnovato Gennaro Vecchione alla direzione del Dis. Fondazione che, sparita dalla legge di Bilancio, è ricomparsa nel documento del Recovery italiano. Italia viva mette nel mirino Conte sia sui Servizi segreti che sui fondi Ue: i renziani hanno consegnato un documento con numerose osservazioni (e modifiche) al Recovery plan italiano. Se la risposta non sarà soddisfacente Renzi ritirerà (7 gennaio) i suoi ministri (Teresa Bellanova e Elena Bonetti) dall’esecutivo. Per Iv il discorso è chiuso: «Sta a Conte decidere». Ma contro la gestione del Recovery plan accentrata nelle mani del premier si schiera anche la presidente della commissione Attività produttive della Camera Martina Nardi (Pd): «È giusta la proposta della segretaria nazionale della Cisl, Annamaria Furlan, di coinvolgere la società italiana, le categorie economiche, il mondo del lavoro, il Terzo settore, nella definizione delle priorità programmatiche da finanziare coi soldi Ue». Chi non prende posizione è il M5s, che in serata si risveglia dal torpore e convoca per stasera alle 20 i gruppi parlamentari.

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