Covid e decessi: perché in Italia si muore di più?

Il tanto esaltato “modello italiano” di lotta al coronavirus ha consentito all’Italia di piazzarsi al terzo posto nella classifica globale relativa ai decessi per Covid-19 ogni 100mila abitanti. Il Belgio guida la graduatoria con 149,12 morti, seguito da Spagna (98,53), Italia (96,04), Regno Unito (90,56) e Stati Uniti (84,46). I dati della Johns Hopkins University parlano chiaro: il nostro è uno dei Paesi nel quale, a causa del coronavirus, muoiono più persone. Il confronto con altre nazioni risulta spesso impietoso. Ma per quale motivo accade un fenomeno del genere?

Sul tavolo ci sono varie ipotesi. Per rispondere alla domanda può essere utile analizzare l’identikit delle vittime, per lo più malati cronici e di età media pari a 81 anni. Vale tuttavia la pena partire dalle basi, da quel sistema sanitario già al limite prima dello scoppio della pandemia. Lo ha spiegato alla perfezione Massimo Puoti, direttore delle Malattie infettive presso l’ospedale Niguarda di Milano.

“Abbiamo un sistema sanitario che ha lavorato facendo le nozze coi fichi secchi, eravamo al limite, c’è chi ha tagliato il tagliabile, la medicina territoriale e la prevenzione sono finite in basso nella lista delle priorità su cui investire”, ha dichiarato a La Nazione. Carenza di personale, dunque, creata dai tagli ma alimentata anche dal tempo necessario alla formazione di nuove leve. E senza considerare i numerosi neolaureati fuggiti all’estero inseguendo occasioni di lavoro più attraenti.

L’identikit delle vittime italiane

Per capire il pessimo funzionamento dell’organizzazione italiana basta fare un confronto con l’efficientissima macchina tedesca. Sia chiaro, anche la Germania piange i suoi morti ma in numero nettamente inferiore rispetto a quello registrato in Italia. I motivi sono molteplici. Primo: il fattore anagrafico. Le vittime italiane, come anticipato, hanno un’età media di 81 anni. Il 90% di loro, inoltre, combatteva con varie patologie pregresse.

Le terapie intensive sono state occupate per lo più da ricoverati appartenenti a un range di età intorno ai 70 anni. Non solo: il Covid funge quasi sempre da miccia esplosiva per chi presentava situazioni di salute compromessa. La maggior parte delle vittime doveva fare i conti con malattie o problemi quali obesità, diabete, ipertensione, asma, cardiopatie e cancro.

Ipotesi e supposizioni

Ci sono dunque varie ipotesi per spiegare questa triste particolarità italiana, anche in virtù del fatto che le terapie usate nei Paesi con un minor tasso di letalità sono identiche alle nostre. Trai fattori da considerare, ad esempio, troviamo l’elevata longevità che caratterizza il Belpaese, seguita dal fatto che molti pazienti deboli ricevono cure anche in uno stato avanzato di malattia. “Questo – ha sottolineato Massimo Andreoni, direttore scientifico presso la Società italiana malattie infettive – permette loro di sopravvivere, ma in altri Paesi avrebbero difficoltà”. Ultimo aspetto da non sottovalutare: in Italia molti pazienti vengono ricoverati troppo tardi, quando spesso non c’è più niente da fare.

Sulle statistiche italiane inerenti alle vittime Covid, a detta di Marco Tinelli, infettivologo dell’Auxologico di Milano, peserebbero i decessi riferiti ai pazienti over 75. La ciliegina sulla torta? La medicina del territorio, “abbandonata e mai integrata con il resto del sistema sanitario”, ha aggiunto Tinelli. Attenzione però, perché gli attuali decessi non sarebbero altro che il risultato di una malattia dal lungo decorso. “Rispetto alla Fase 1 abbiamo un numero di decessi apparentemente molto alto, ma in realtà inferiore in percentuale rispetto al numero dei casi totali”, ha spiegato infine Claudio Cricelli, presidente Società italiana di medicina generale, concludendo che “il tasso di letalità di Covid-19 è quindi fortemente diminuito grazie all’aumento dei positivi asintomatici al radicale miglioramento dei criteri di diagnosi e tempestività delle cure”.

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