Ondata di contagi tra i bengalesi. Ma molti rifiutano il tampone

L’assessorato alla Salute della Regione Lazio parla di “bomba virale disinnescata”. Sono già 21 i passeggeri atterrati a Fiumicino da Dacca risultati positivi al Covid-19. Casi che, uniti a quelli registrati nei giorni scorsi proprio all’interno della comunità bengalese della Capitale e a Fiumicino, hanno fatto impennare la curva epidemica nel Lazio.

Tanto che stamattina il ministro della Salute, Roberto Speranza, in accordo con la Farnesina, ha disposto la sospensione per una settimana dei voli in arrivo dal Bangladesh. Un lasso di tempo in cui si studieranno “nuove misure cautelative per gli arrivi extra Schengen ed extra Ue”.

Si tratta di un passaggio obbligato per evitare che il virus torni ad espandersi a macchia d’olio. La maggior parte di chi arriva al T5, il terminal che un tempo accoglieva i passeggeri provenienti da Usa e Israele e che ora è stato blindato per testare i viaggiatori atterrati dalla capitale bengalese, viene qui per lavorare e, molto probabilmente, condividerà l’alloggio con diversi connazionali. Impossibile, quindi, garantire il rispetto dell’isolamento fiduciario imposto dalla Asl.

Il rischio, quini, è che si verifichi di nuovo quello che è accaduto nelle scorse settimane nel centro storico di Fiumicino, dove si è trasferita una famiglia arrivata da Dacca. Moglie, marito e un figlio che dividevano l’appartamento con altri due concittadini. Tutti infettati nel giro di qualche giorno sebbene al loro arrivo i tre non presentavano sintomi. Uno dei conviventi, un lavapiatti dipendente di un noto ristorante di Fiumicino, ha continuato a recarsi al lavorocontagiando i titolari e altri dipendenti. Dall’aeroporto all’appartamento dei connazionali: ecco come si è diffuso il virus a FiumicinoPubblica sul tuo sito

In più, come si legge sul Messaggero, ieri in via Niccolò Forteguerri, a Tor Pignattara, dove la Asl Roma 2 ha allestito un nuovo drive through per fare test a tappeto alla comunità, si sarebbero presentati in pochissimo. Per questo oggi le autorità hanno diffuso un appello rivolto a tutti i cittadini del Bangladesh che “dal 1 giugno in poi sono tornati dal Paese d’origine”. L’invito è a presentarsi ai drive in di “via Santa Caterina delle Rose, Via Nicolò Forteguerri e, sabato e domenica, anche a piazza della Maranella e a Via degli Eucalipti” per fare i tamponi. Il testo verrà diffuso anche in lingua bengalese, nei quartieri dove è forte la presenza della comunità.

Tra le raccomandazioni della Asl c’è anche quella di sospendere le funzioni religiose islamiche del venerdì, almeno per questa settimana. Secondo lo storico portavoce della comunità bengalese di Roma, Siddique Nure Alam, in molti però, soprattutto quelli che non sono ancora in regola con i documenti, avrebbero paura a presentarsi al drive in per effettuare lo screening. Anche per questo, secondo lui, negli hotspot allestiti dai sanitari finora si sono presentate soltanto una manciata di persone. Una circostanza che complica di fatto le operazioni di tracciamento. Paura nel palazzo del focolaio, i residenti: “Nessuno ci fa i tamponi”Pubblica sul tuo sito

Nei giorni scorsi era stato il presidente dell’Associazione Italbangla, Mohamed Taifur Rahman Shah, ad invocare per primo “controlli più rigidi sugli arrivi” dal Paese asiatico, condannando “l’irresponsabilità del governo bengalese che non riesce a gestire la situazione”. In molti, secondo quanto ha dichiarato nei giorni scorsi all’Adnkronos, starebbero arrivando in Italia proprio per sfuggire all’epidemia che si sta diffondendo rapidamente nel Paese: “Il governo del Bangladesh è irresponsabile e non riesce a dare risposte: non ci sono tutele per la salute, cure mediche, è il far west”.

Stamattina alcuni rappresentanti della comunità bengalese di Roma hanno incontrato il personale della Asl Roma 2 per impegnarsi a sensibilizzare i propri concittadini sull’importanza di sottoporsi ai test. “Se non avessimo messo in piedi una imponente macchina dei controlli questi passeggeri molto probabilmente sarebbero stati a loro volta un vettore di trasmissione del virus presso le loro comunità a cui abbiamo chiesto la massima collaborazione, innanzitutto nel loro interesse, per mettersi a disposizione delle autorità sanitarie al fine di eseguire i test per coloro che nell’ultimo mese sono rientrati dal loro Paese di origine o hanno avuto contatti diretti con persone rientrate”, ha commentato l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, chiedendo la collaborazione del prefetto di Roma per vigilare sul “rispetto delle prescrizioni di isolamento”. L’ira dei ristoratori infettati dal Covid: “Ora si indaghi per epidemia colposa”Pubblica sul tuo sito

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