Palamara, Filippo Facci e la verità su Marco Travaglio: “Cronista vassallo, burattino della magistratura”

Una volta un pm mi consegnò l’intero fascicolo di un’inchiesta che stava facendo: «Guarda se ci capisci qualcosa», mi disse. Una settimana dopo glielo riconsegnai, dissi la mia, lui ci lavorò ancora e su quella base chiese un rinvio a giudizio per un ex ministro: tanto per capirci che di vergini non ce ne sono, nel rapporto tra magistratura e giornalisti. Per il resto, sul pool dei giornalisti di Mani pulite – che fu un caso particolare e circoscritto – ho scritto libri interi, poi un paio di volte andai a Palermo e scoprii che gli schieramenti dei cronisti erano ugualmente piallati con questo o quel pm, e contro quell’altro, pro o contro certa fazione antimafia: e le notizie uscivano di conseguenza. Figurarsi a Roma, centro malato del potere. Quando esisteva il giornalismo, non a caso, la regola era che per sapere che cosa succedeva davvero, in una certa inchiesta, bisognava mandare un inviato da fuori, perché i cronisti dei palazzi di giustizia erano troppo dipendenti dalle loro fonti. Normale, detto così. Uno parla con chi conosce e magari gli passa delle notizie, non lo fa con uno che non conosce o che magari di solito gli spara contro. Nel 1991, alla Villa Reale di Milano, non riuscii a parlare con Giovanni Falcone perché era troppo impegnato a discutere con Liana Milella di Repubblica, che era molto sua amica. A me non mi conosceva, quindi ciao. Normale. In Val D’Aosta incontro spesso un importante magistrato romano che mi racconta questo e quello: perché si fida, punto.

NOTIZIE PER GLI AMICI
Si potrebbe obiettare che vale per tutto, per ogni ambiente da cui attingere notizie: le fonti danno le notizie ai loro amici e nella giustizia le fonti più importanti sono i magistrati. Ma non è proprio così. Per la giustizia è più grave: i magistrati sono pubblici funzionari, ci sono notizie in grado di rovinare la gente, e le «notizie» spesso corrispondono a materiale probatorio (non sempre rilevante) che magistrati & giornalisti hanno liberamente deciso che fosse lecito pubblicare, diversamente dagli intenti iniziali del nuovo Codice del 1989 che la giurisprudenza ha progressivamente stravolto. Ora questo stravolgimento se lo ritrovano infilato – capita – nel deretano dopo che a uscire sui giornali sono state carte e intercettazioni di magistrati contro altri magistrati, coi giornalisti in mezzo nel ruolo dei servi sciocchi. C’è un limite a tutto questo? Secondo Vittorio Feltri è un limite che è stato superato – l’ha scritto su Libero di ieri – mentre secondo il direttore del Riformista Piero Sansonetti, collega che stimo, «i cronisti giudiziari sono agli ordini del partito dei pm», come ha detto pure su Libero. Io la metterei così: i cronisti di ogni genere sono agli ordini del potere e basta, e il potere, quello vero, oggi è nelle mani delle magistrature, delle procure, dell’interpretazione di legge, della prassi, della giurisprudenza, delle corti di Cassazione e Costituzionale, nelle mani di un assetto che già era unico al mondo e adesso lo è diventato ancora di più.

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