Vittorio Feltri, aria di patrimoniale: “Le mani sporche di Giuseppe Conte nel nostro conto corrente”

Il mio gatto Ciccio era accomodato sul tavolo della sala da pranzo allorché GiuseppeConte ha cominciato a concionare in televisione per illustrare a capocchia l’ennesimo suo decreto. Ha guardato lo schermo per cinque o sei minuti, poi si è abbioccato e il suo bel corpo sinuoso èscivolato precipitando sul tappeto. Un capitombolo spettacolare che non ha prodotto guai seri al micio, il quale poi se ne è andato bofonchiando in un’altra stanza. Neanche il delizioso felino ormai regge oltre il premier più noioso della storia repubblicana.

Figuriamoci noi umani, disgustati comesiamo dalle consuete chiacchiere di cui ci sfugge il senso, ma non la componente soporifera talmente forte da indurci a ripetuti sbadigli. L’unico momento durante il quale ci siamo svegliati è stato quello relativo ai risparmi dei cittadini. Giuseppe si è lanciato in una conversazione sibillina, insinuando che prima o poi il governo, per racimolare i soldi necessari al rilancio della economia patria, dovrà mettere le mani sporche sui nostri conti correnti bancari. In che modo? Le opzioni sono due. Fottendocene una parte che verrebbe prelevata alla fonte, cioè dalle nostre riserve di contanti, oppure ingiungendo agli italiani di acquistare titoli nazionali. In ogni caso si tratterebbe di una forma di furto, non del tutto nuova, visto che anni orsono Giuliano Amato, all’epoca padrone di Palazzo Chigi, allo scopo di ridurre il debito pubblico ebbe l’idea geniale di rubarci, dalla sera alla mattina, una quota di denaro accantonata negli istituti di credito di nostra fiducia. Ecco, il presidente del Consiglio medita di replicare quella fetente operazione. E ciò spaventa i compatrioti i quali si sentono minacciati, temono di essere defraudati, di rimetterci una parte dei quattrini che con molti sacrifici sono riusciti ad accumulare. Non si può campare sereni pensando che il tuo nemico più pericoloso sia lo Stato, il quale punta a impoverirti per recuperare fondi da destinare non si sa bene a chi né perché.

Il problema è che il primo ministro per rimanere assiso sulla propria poltrona è costretto a promettere palanche a tutti, miliardi di qua e miliardi di là al fine di incoraggiare il popolo. Peccato che la montagna di contanti stanziata sulla carta in realtà non ci sia se non nelle intenzioni, però non nel portafogli, dell’esecutivo. I cui decreti-fiume costituiscono il libro dei sogni e non trovano riscontro nella realtà. Coloro che in questa fase hanno perso il lavoro si illudono di ricevere contributi sostitutivi dello stipendio finito in fumo, e in effetti continuano a protestare in quanto sono rimasti a secco. Hanno ragione. Avere famiglia e non avere di che mantenerla è una tragedia. Diverso il ragionamento per i titolari di aziende piccole e grandi che, riprendendo l’attività, seppure in forma ridotta, saranno in grado di superare – glielo auguriamo – la crisi. Indubbiamente il percorso che conduce alla salvezza non sarà breve, tuttavia il traguardo è raggiungibile. Di norma quando l’economia cade poi rimbalza e si riassesta, mentre i lavoratori comuni se cascano spesso si rompono l’osso del collo.

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