Boss della mafia nigeriana esce dal carcere per un errore procedurale

È stato arrestato esattamente un anno fa a Palermo. Paul Eboigbe, detto Bugatti, classe 1994, è uno dei boss della mafia nigeriana.

La sua confraternita, quella degli Eiye, detta legge nel mercato del popolare quartiere di Ballarò dove, con il benestare di Cosa Nostra, gestisce il traffico di droga e la tratta delle ragazze, oltre a sfruttare i connazionali.

Violenti, spietati, senza scrupoli, i boss della mala africana finirono in manette grazie alle testimonianze di alcuni ex affiliati, che hanno scelto di collaborare con le forze dell’ordine. Ora però il 25enne, di cui veniva sottolineata dai giudici la “notevole pericolosità”, è uscito dal carcere. Il motivo? In un cavillo giudiziario. L’avviso di conclusione delle indagini preliminari non è stato notificato al difensore di fiducia ma soltanto all’indagato. Tanto è bastato a far aprire la porta della cella dove Eboigbe era rinchiuso.

A segnalare il difetto di notifica era stato proprio l’avvocato di “Bugatti”, Cinzia Pecoraro. È stato il Gup, Ermelinda Marfia, a “metterci una pezza”, imponendo al ragazzo l’obbligo di dimora a Palermo, oltre a quello di presentazione alla polizia giudiziaria. La procura però non ha potuto far altro che constatare l’errore procedurale e, di conseguenza, avallare la remissione in libertà del boss, pur con le limitazioni decise dal giudice.

L’operazione “No fly zone” era scattata nell’aprile 2019 dopo la denuncia di una delle ragazze sfruttate dal gruppo. Le indagini erano andate avanti anche grazie alle testimonianze di due pentiti che, oltre a svelare i traffici in cui erano coinvolti gli appartenenti alla confraternita, fornirono i dettagli sui cruenti riti di affiliazione al “nest”, il “nido”. Così vengono chiamate le singole cellule dell’organizzazione, dal nome della confraternita: Eiye, che in dialetto yoruba vuol dire “uccello”.

Le microspie piazzate dagli agenti nel popolare quartiere palermitano hanno confermato quello che i due ex affiliati avevano raccontato per filo e per segno agli inquirenti. I nuovi adepti vengono picchiati brutalmente e poi costretti a bere un liquido composto dal loro sangue e dalle loro lacrime mescolate con alcol, riso e tapioca. Solo dopo possono giurare fedeltà all’organizzazione. “Debitamente giuro di sostenere Eiye confraternita moralmente, spiritualmente, finanziariamente e in qualsiasi altro modo e se non lo faccio, che il vulture (avvoltoio, ndr) spietato mi strappasse gli occhi”, è la formula pronunciata dai “birds”, le nuove leve dell’organizzazione.

I fermi furono 13 in tutto. A congratularsi con gli agenti per aver smantellato i vertici della confraternita fu l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Ma per una leggerezza, dopo appena dodici mesi, uno dei boss più feroci è uscito di prigione.

il giornale.it

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