Processi a casa dei giudici. “Conseguenze devastanti”

«Conseguenze devastanti». Non usano giri di parole gli avvocati per commentare la nuova stretta preparata dal governo, in nome del coronavirus, alla pubblicità delle udienze.

Nessuna obiezione sulla necessità di tenere al riparo gli operatori della giustizia e gli imputati dai rischi di contagio. Ma la convinzione dei penalisti è che sotto l’egida della lotta al Covid-19 stiano entrando nel sistema del processo penale procedure sbrigative che tutelano le esigenze sanitarie ma non quelle della giustizia.

Ieri il ministro Alfonso Bonafede ha portato all’esame del Consiglio dei ministri un pacchetto di provvedimenti che prevede la proroga per un altro mese, fino all’11 maggio, del blocco delle udienze che finora sarebbe cessato il 15 aprile; insieme, una serie di misure sul fronte della giustizia tributaria, che erano state chieste proprio dagli avvocati per allargare alle cause con il fisco la possibilità di tenere udienze a distanza, ovvero via Internet, già prevista per le cause civili e penali. Fin qua tutto bene, insomma. Ma a fare insorgere gli avvocati è stato un altro provvedimento, partito dagli uffici del Guardasigilli sotto forma di emendamento al decreto CuraItalia del 20 marzo scorso: sono le modifiche che il governo intende apportare al decreto al momento in cui dovrà essere ratificato dal Parlamento. Qui non ci si limita ad allungare i tempi delle indagini o a sospendere la prescrizione. Il pacchetto punta ad allargare quasi a dismisura la possibilità per i giudici di tenere udienze senza nessuno davanti, e quindi anche da casa propria. A poter assistere all’udienza soltanto attraverso il monitor di un computer non saranno solo gli imputati ma anche tutte le parti processuali. Secondo l’Ucpi, l’unione dei penalisti, «siamo di fronte ad un vero e proprio modello di processo dematerializzato». «Lo strappo con i principi costituzionali è evidentissimo». Stessa critica alla norma «del tutto sorprendente» secondo cui in Cassazione i giudici decideranno i processi solo sulla base delle carte, senza ascoltare nè l’accusa nè la difesa: se un avvocato vorrà prendere la parola, i termini di prescrizione verranno sospesi, benché si tratti del semplice esercizio di un diritto.

Ma le critiche più pesanti l’Ucpi le riserva alla innovazione che il governo punta ad introdurre nel decreto col comma 12 quater, che prevede che per tutti i processi, civili o penali, sospesi o non sospesi, i giudici possano prendere le loro decisioni in camere di consiglio virtuali, collegandosi da casa loro con i colleghi. I penalisti si chiedono quale correttezza possano avere decisioni cruciali assunte in questo modo. «Trattasi di una totale violazione dei principi irrinunciabili che sovraintendono alla deliberazione della sentenza, compreso quello della segretezza della camera di consiglio – scrive l’Unione – si tratta di una scelta che potrebbe produrre conseguenze devastanti». Anche perché non sono esclusi neanche i processi di competenza delle Corti d’assise, dove dovrebbero collegarsi da casa anche i giudici popolari. «Emerge in tutta la sua drammatica evidenza l’assenza di garanzie non solo in ordine alla segretezza ma anche alla impermeabilità ai condizionamenti esterni di coloro che sono chiamati a giudicare».

Chi potrà garantire che nella stanza accanto al giudice o al giurato collegato al computer, fuori dal tiro della webcam, ci sia qualcuno in grado, in un modo o nell’altro, di influenzarlo? Questo, tradotto in concreto, il timore dell’Unione. Ma sotto tiro è la filosofia complessiva dell’emendamento, l’idea che una giustizia emergenziale possa fare saltare il sistema delle garanzie. La speranza dei penalisti è che l’emendamento sia farina del sacco solo del ministro grillino, non condiviso col resto della maggioranza. Per questo Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Ucpi, sta ora lavorando alla creazione di uno schieramento bipartisan che porti, quando il pacchetto arriverà in aula, a rispedirlo al mittente.

il giornale.it

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