Giappone, donna guarita contrae per la seconda volta il coronavirus

Una donna giapponese di 40 anni è stata la prima persona, in Giappone, ad aver contratto per due volte il nuovo coronavirus. La paziente, una guida turistica di Osaka, era risultata per la prima volta positiva al Covid-19 lo scorso 29 gennaio.

La signora aveva subito iniziato la sua degenza ospedaliera fino a quando, a febbraio, i sanitari hanno deciso di dimetterla. Il suo test si era negativizzato del tutto il 6 febbraio. Sembrava che la malattia fosse un lontano ricordo, un’esperienza da raccontare a figli e nipoti. Invece no, perché il 26 febbraio, dopo aver spiegato ai medici di avere mal di gola e forti dolori al petto, ecco la doccia fredda: di nuovo coronavirus.

Come è potuta verificarsi una situazione del genere? Zhan Qingyuan, un medico del China-Japan Friendship Hospital, ha provato a dare una spiegazione a quanto accaduto: “I pazienti curati possono subire una ricaduta. La probabilità esiste”. Solitamente, riferisce Il Corriere della Sera, i contagiati vengono dimessi non appena i sintomi spariscono, la temperatura corporea torna a livelli normali per almeno tre giorni e i test sono negativi almeno due volte a distanza di 24 ore.

Anche se di solito il nostro organismo produce anticorpi dopo un’infezione da virus, non è detto che gli anticorpi per il coronavirus – e quindi il loro effetto protettivo – durino il tempo a sufficienza a evitare un nuovo contagio. Ecco perché gli esperti concordano sul fatto che è prematuro parlare di immunità persistente in relazione al Covid-19. In altre parole non vi è alcuna certezza di non dover più fare i conti con l’infezione dopo averla contratta una prima volta. Senza poi considerare l’incognita di possibili mutazioni dell’agente patogeno.

Il confronto con gli altri coronavirus

Gli scienziati, al momento, si basano sul comportamento degli altri coronavirus. Raffreddore e influenza, ad esempio, possono essere ripresi. Susan Kline, specialista in malattie infettive dell’Università del Minnesota sostiene che “non esiste un’immunità di lunga durata” per i coronavirus generali. E forse neppure per il Covid-19.

Tornando alle mutazioni, c’è da capire come e se il coronavirus muterà. Tutti i virus influenzali, parenti del Covid-19, infatti, hanno una spiccata tendenza a variare. Che cosa significa? L’Istituto Superiore di Sanità spiega che questi agenti patogeni acquisiscono “cambiamenti che permettono loro di aggirare la barriera costituita dalla immunità presente nella popolazione che in passato ha subito l’infezione influenzale”.

A questo punto sono due gli scenari futuri per il coronavirus: il suo contenimento, proprio come avvenuto con la Sars oppiure l’estinzione dopo che l’epidemia ha contagiato il maggior numero possibile di persone (come per Zika). In mezzo c’è un’altra possibilità: che il Covid-19 perda intensità e resti endemico in mezzo a noi. Proprio come l’influenza.

Ricaduta o nuovo ceppo virale?

Marcello Tavio, direttore dell’Unità operativa di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona e presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), ha spiegato che il caso della donna giapponese risultata positiva per due volte al nuovo coronavirus “potrebbe essere stato causato da una ricaduta oppure da un nuovo ceppo virale”.

“Appare difficile dare un parere che abbia solidità scientifica in questo momento – ha precisato Tavio – perché servirebbe avere una serie di parametri per giudicare la situazione, come sapere quale tipologia di test è stato usato, se molecolare o di ricerca degli anticorpi, e se è stato impiegato lo stesso esame sia la prima che la seconda volta. Potrebbe comunque trattarsi di una ricaduta, nel caso in cui la memoria immunologica sia di breve durata”.

Ma è l’altra ipotesi sul tavolo a destare una certa preoccupazione. Già, perché è possibile che il Covid-19 stia mutando “quel tanto che basta per sfuggire al controllo del sistema immunitario umano”. In tal caso la ricerca di un vaccino potrebbe complicarsi: “Se questi casi di doppia infezionè fossero numerosi, prima di licenziare un vaccino dovrà passare un pò di tempo in più, perché si dovranno includere ceppi virali diversi nel siero”.

il giornale.it

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