“Procura di Milano troppo soft. Così ha salvato i vertici di Mps”

Una copertura in grande stile delle colpe del disastro Mps da parte della Procura di Milano, trasformatasi in avvocato difensore dei vertici della banca senese arrivati dopo il disastro: ovvero Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, nominati «su input dei vertici del Partito Democratico a livello locale e nazionale e per diretta intercessione di Massimo D’Alema».

Questa è l’operazione che sarebbe avvenuta (e che sarebbe tuttora in corso) a Milano intorno al processo sul Monte dei Paschi.

A sostenerlo, in un esposto di inusitata durezza, è il consulente di un centinaio di vittime del pasticcio Mps, l’ingegner Giuseppe Bivona. Che chiede l’intervento del Consiglio superiore della magistratura e del ministro della Giustizia nei confronti del pm milanese titolare del procedimento: «Basta leggere i verbali delle udienze – si legge nell’esposto – per rendersi conto che nel procedimento manca di fatto la pubblica accusa».

Il problema è che Bivona non è un qualunque consulente di parte: una manciata di giorni fa un magistrato milanese, il giudice Guido Salvini, ha scritto in un provvedimento che le sue tesi sul caso Mps sono più convincenti di quelle dei periti della Procura (e si tratta di consulenti importanti, tra cui l’assessore al Bilancio della giunta Sala, Roberto Tasca). Al centro dello scontro non ci sono le colpe dell’epoca in cui alla testa del colosso senese c’era Giuseppe Mussari, ormai riconosciute da una sentenza. Ma quanto accadde dopo, tra il 2012 e il 2015, quando a Siena si insediarono Profumo e Viola. Per la Procura di Milano, investita del caso per competenza territoriale, a entrambi non si può rimproverare nulla: tanto che i pm chiesero a tempo di record l’archiviazione dell’indagine contro di loro. Ma la tesi innocentista dei magistrati è andata a sbattere contro il tribunale: per due volte, in due diversi tronconi, i pm hanno chiesto il proscioglimento di Profumo e Viola, e per due volte se lo sono visto rifiutare da due diversi giudici delle udienze preliminari.

Non si tratta, secondo Bivona, di una semplice, fisiologica diversità di opinioni tra organi giudiziari ma di «profili di tale abnormità» da giustificare un procedimento disciplinare. Per raggiungere i suoi obiettivi, il pubblico ministero avrebbe ripetutamente «travisato i fatti», «omettendo di valutare circostanze inconfutabilmente accertate», specie i documenti che provavano la malafede di Profumo e Viola, la loro consapevolezza che i bilanci erano falsi perché spacciavano dei derivati come titoli di Stato. Secondo Bivona, il pm avrebbe avallato le note tecniche di Banca d’Italia e Consob «quantunque pacificamente errate o sconfessate in modo documentale».

Dietro, secondo l’esposto, c’è un «affare di Stato»: l’operazione finalizzata a salvare non la banca, ma la Fondazione Mps, cuore del potere rosso a Siena. «Se i bilanci non fossero stati truccati, non sarebbero mai arrivati gli aiuti di Stato, i cosiddetti Monti Bonds», che evitarono la catastrofe. Ma ad un prezzo folle: Bivona parla di «una distruzione di valore per i soci pubblici e privati pari a circa 16,5 miliardi, di cui circa 2,5 miliardi per lo Stato. Nonostante che già nel 2013, se non nel 2012, Mps fosse tecnicamente fallita. Tutto questo mentre Viola diramava comunicati tranquillizzanti sullo stato di salute della banca. Ma nella relazione tecnica, Bivona non risparmia neanche gli attuali vertici dell’istituto, a partire dal presidente Stefania Bariatti, che «erano in carica» al momento dell’approvazione della relazione finanziaria (non conforme ovvero falsa) al 30 giugno 2015, ed erano stati avvisati nel luglio 2015 «del falso contabile relativo all’operazione Nomura».

Per tutti questi motivi, il consulente dei piccoli azionisti «chiede dunque alla sezione disciplinare del Csm di valutare alla luce dei fatti esposti se il pubblico ministero abbia tenuta o meno una condotta contraria ai suoi doveri nell’esercizio delle sue funzioni».

il giornale.it

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