Fuorilegge i cannabis shop. “È come spacciare droga”

Giù le serrande, senza neanche bisogno di aspettare il «giro di vite» promesso da Matteo Salvini.

Da ieri pomeriggio, i 2.087 negozi che in tutta Italia vendono marijuana «leggera» e i suoi derivati sono ufficialmente fuorilegge, considerabili a tutti gli effetti come luoghi d spaccio di droga, e i loro titolari se insisteranno nel commercio potranno essere arrestati in flagrante come pusher. Bruciando sul tempo il ministro degli Interni, lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione: sarà anche light, dicono, ma quella è droga.

Una volta tanto, nel rapporto non facile che ha con la magistratura, Salvini incassa dalle toghe un aiuto insperato: e lo incassa su un fronte che lo aveva messo in rotta di collisione con i 5 Stelle, secondo i quali la «tolleranza zero» verso la cannabis non era nel programma di governo. Il 9 maggio, Salvini aveva annunciato una direttiva ministeriale per la chiusura dei negozietti. Non ce ne sarà bisogno.

Ieri infatti le Sezioni Unite hanno risolto la diversità di valutazioni che in questi mesi avevano affollato le diverse sentenze sulla marijuana leggera, ovvero con un principio di Thc (tetraidrocannabinolo, il principio attivo della cannabis) inferiore allo 0,6 per cento. La legge del governo Renzi che nel 2016 aveva liberalizzato la coltivazione della canapa a basso Thc aveva scatenato il boom dei negozi che, sotto le insegne più fantasiose, vendevano prodotti dall’inconfondibile profumino. Droga o non droga? Dandoci dentro, un po’ di sballo era assicurato. E il timore di Salvini, ma anche di qualche esperto del settore, era che questa blanda forma di legalizzazione attirasse nuovi utenti, specie tra i giovani e giovanissimi, pronti a passare alla droga vera.

Ad innescare lo scontro finale è nei mesi scorsi il questore di Macerata, chiudendo tre cannabis shop. Partono ricorsi, sentenze e controsentenze. Alla fine, tutto approda alla Suprema Corte, chiamata – come spesso le accade – a fare da arbitro nel mondo non solo della legge ma anche della evoluzione dei costumi. Tanto che ieri, in apertura di udienza, il procuratore generale propone di mandare tutta la pratica alla Corte Costituzionale, perché valuti la «ragionevolezza» del coacervo di norme.

Nessuna irragionevolezza, decidono invece le Sezioni Unite. La «legge Renzi» del 2016 secondo la Corte regolamenta solo la filiera agroindustriale della canapa, e non lo spaccio di marijuana leggera. «Le condotte di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico dei prodotti derivati dalla cannabis sativa», scrive la Cassazione «integrano il reato di cui all’articolo 73», ovvero lo spaccio di droga, «salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». Una decisione netta, senza margini di equivoco, che mette una pietra tombale sul business emergente. Festeggia Salvini, festeggia il ministro della Famiglia, Fontana, e le associazioni dei genitori chiedono la chiusura immediata.

Tempi duri, insomma, per i fan dello spinello libero: anche perché nelle stesse ore in cui la Cassazione teneva udienza, anche Google faceva partire un duro colpo al mercato della cannabis. Le applicazioni per l’acquisto di marijuana finiscono nel mirino del colosso: non verranno rimosse dallo store ma verrà loro impedito di effettuare direttamente transazioni e consegne.

il giornale.it

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