La corruzione figlia del sistema

I n uno dei Paesi più corrotti dell’Occidente è normale che la «questione morale» sia sempre al centro della scena, tanto da costituire base premiante per più di un movimento politico, che a turno la cavalca con successo.

Dal Pci di Berlinguer alla Lega di Bossi, fino ai 5s di Grillo, è sempre stata un utile grimaldello per screditare le forze di Governo, mai però un valore portante di chi la sventolava. Più un agita-popolo che un progetto politico, tant’è che l’avvicendamento delle forze nuove nelle stanze dei bottoni non ha portato più igiene nelle istituzioni, bensì ha immediatamente corrotto i nuovi inquilini.

L’errore di fondo è ritenere la corruzione (e dunque la questione morale) una faccenda di uomini, mentre invece è una faccenda di sistema. Dove c’è burocrazia in genere c’è terreno fertile per la ricerca di scorciatoie. La nostra strada per contrastarla è più di natura formale, con norme e regolamenti, che non sostanziale. L’altra via è quella dei controlli, attivati da un sistema di pesi e contrappesi, il check-and-balance dei Paesi anglosassoni. Disputare sulle due opzioni è affascinante, ma serve a poco, poiché prevenire è sempre meglio che curare. Prima del contrasto è opportuno rendere sconveniente la corruzione. All’uopo, diventa necessario un altro ingrediente, che spesso non piace al servizio pubblico: il risultato. Grazie a lui, la corruzione incontra sulla sua strada la performance mediocre o insufficiente. Il funzionario pubblico (o amministratore pro-tempore) si trova a scegliere tra favorire il raccomandato portatore di mazzetta o garantirsi un risultato che lo faccia stare tranquillo e, magari, essere anche premiato. Ed ecco il punto: senza un sistema premiante, fondato sul merito, la scelta diventa facile. Banalmente, se un chirurgo sbaglia l’intervento e il capo della struttura resta al suo posto, non avrà interesse ad avere in sala operatoria solo i migliori.

Per questo motivo, l’orientamento al risultato, il Pci di Berlinguer, che pure poteva impartire lezioni di moralità a testa alta, non avrebbe mai potuto risolvere la «questione morale» come i discendenti hanno opportunamente dimostrato. La misurazione del risultato è infatti antitetica alla dottrina comunista, che rifugge dalla sana competizione e differenziazione in favore della massificazione, l’unica capace di tenere i lavoratori coesi in un corpo unico. Di leghisti e pentastellati manco vale parlarne. Piuttosto, per paradossale che possa suonare, i socialisti di Craxi, in quanto portatori di una socialdemocrazia liberale, erano meglio posizionati sulla strada della moralizzazione. Può non piacere, eppure non sono i galantuomini che purificano l’aria. È l’aria pulita a fare i galantuomini, dato che l’interesse e il tornaconto personale, se opportunamente indirizzati, producono un ambiente più igienico che premia l’onestà. L’aria è pulita quando il furbo è quello onesto, non quando l’onesto è il più fesso di tutti.

il giornale.it

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