Reddito di cittadinanza, ecco come i giudici regaleranno i soldi a tutti gli immigrati

Diranno che non se l’ aspettavano, che la Corte Costituzionale li ha colpiti a tradimento e tutte le cose che tirano fuori i politici quando combinano guai del genere. La verità è che i motivi per cui il reddito di cittadinanza andrà a tutti gli immigrati regolari, e non solo ai soggiornanti di lungo periodo residenti in Italia «da almeno 10 anni» come previsto dal governo nel decreto, sono noti già adesso. Il Servizio studi del Senato li ha messi per iscritto nel dossier che accompagna l’ arrivo del provvedimento a palazzo Madama. Un documento ovviamente neutrale, preparato, come si fa in questi casi, per istruire gli eletti sulle materie di cui debbono occuparsi. Ciò nonostante, l’ avvertimento contenuto in quelle pagine è chiaro: ogni volta in cui il legislatore ha cercato di «discriminare» la concessione di trattamenti assistenziali, tagliando fuori una parte degli immigrati regolari, i giudici costituzionali, brandendo la Carta e la Convenzione europea dei diritti dell’ uomo, sono intervenuti per estendere il beneficio a tutti gli stranieri in regola.

L’ impatto si annuncia notevole. Lo sbarramento previsto dal decreto tiene fuori 87mila famiglie di stranieri, con un risparmio per le casse dello Stato pari a 535 milioni di euro. Ma tutto fa credere che, dopo l’ intervento della Consulta, la prebenda grillina andrà a ognuno dei 241mila nuclei di immigrati regolarmente soggiornanti e in possesso dei dovuti requisiti economici, e non a “soli” 154mila, come promette di fare l’ esecutivo. La conseguenza sarà un aumento del costo a carico dei contribuenti o, in alternativa, il taglio generalizzato del sussidio, già previsto dal provvedimento nel caso in cui la spesa sia superiore al previsto.

SETTE SENTENZE
La casistica è ampia e va tutta nella stessa direzione. Nel 2014, ad esempio, è stata bocciata la norma con cui la Valle d’ Aosta aveva introdotto l’ obbligo di residenza da almeno otto anni come requisito per ottenere l’ accesso all’ edilizia residenziale pubblica. I giudici costituzionali hanno stabilito che esso determinava «un’ irragionevole discriminazione». Nel 2018 è toccato a una legge della Liguria: il periodo di residenza di dieci anni per il migrante intenzionato a richiedere un alloggio popolare è stato ritenuto un presupposto irragionevole e sproporzionato, tanto da rivelarsi «una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari».

La Consulta è ancora più rigida quando, anziché i criteri per l’ assegnazione delle case, è chiamata a giudicare «misure destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona», come appunto il reddito di cittadinanza. I tecnici di palazzo Madama elencano sette sentenze importanti nelle quali ogni tipo di «discriminazione», inclusa quella fondata sulla durata del soggiorno, è stata dichiarata contraria alla Costituzione. Nel 2015, ad esempio, i giudici delle leggi hanno stabilito che, una volta accertato il diritto dell’ immigrato a risiedere in Italia, «l’ accesso a una misura sociale non può essere differenziato in ragione della “necessità di uno specifico titolo di soggiorno” o di “particolari tipologie di residenza, volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno”». Formula che potrebbe adattarsi benissimo al decreto che istituisce il reddito di cittadinanza. Anche se Luigi Di Maio finge di non vederli, insomma, ci sono tutti i presupposti per cui la sua promessa di non dare la sovvenzione agli immigrati, già disattesa a metà, venga tradita del tutto.

di Fausto Carioti

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