Nuova strage nel Mediterraneo. “Donne e bimbi tra i 117 morti”

Erano in 120 sul gommone naufragato ieri a 50 miglia a nord est di Tripoli, si sono salvati soltanto in tre: due sudanesi e un gambiano, recuperati in stato di ipotermia da un elicottero della Marina militare italiana.

«Meglio la morte che tornare in Libia», hanno detto. L’allarme era arrivato venerdì pomeriggio da un aereo P72 del 41esimo storno di Sigonella dell’Aeronautica militare, che sorvolando il Mediterraneo nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro aveva notato il natante in difficoltà. «Le condizioni del mare non erano le più favorevoli – spiega il contrammiraglio Fabio Agostini, capo ufficio pubblica informazione della Marina militare -, con un mare forza 3 e un vento di circa 15 nodi. L’equipaggio, viste le condizioni di scarsa galleggiabilità del gommone, di scarsa qualità e poco sicuro, ha subito lanciato due zattere di salvataggio che si sono regolarmente aperte. Contestualmente – prosegue – il cacciatorpediniere Caio Duilio, che si trovava a circa 110 miglia nautiche, ha disposto il decollo del proprio elicottero, un SH90». Il mezzo, con due diverse attività molto complesse, ha recuperato i tre naufraghi. Sono stati avvistati anche tre corpi che galleggiavano in acqua ed è stato verificato che fossero cadaveri. Del resto degli occupanti del gommone nessuna traccia. Secondo il racconto dei superstiti, sul natante c’erano anche donne, tra cui una incinta e bambini, uno dei quali di 12 mesi. Da quanto si apprende, il gommone era partito una decina di ore prima del naufragio da Garabulli. I tre uomini sono stati trasportati a Lampedusa, in ospedale, per essere curati e poi all’hotspot dell’isola, dove già sono ospitati i 68 migranti recuperati due giorni fa dalla Guardia costiera che, peraltro, avuta notizia attraverso l’Imrcc di Roma, ha avvertito il corrispettivo libico che, trattandosi della sua zona Sar, ha assunto il coordinamento dei soccorsi, dirottando sul posto anche un mercantile battente bandiera liberiana.

Le polemiche non sono tardate ad arrivare. Il portavoce dell’Oim, Flavio di Giacomo, ha chiarito che «i contorni di questa tragedia sono molto più gravi di quello che sembrava all’inizio. C’era caos sul numero delle persone a bordo».

La critica delle organizzazioni non governative è quella che il naufragio sia avvenuto in un Mediterraneo in cui a operare è rimasta solo la Sea Watch che appresa la notizia ha cercato, con due gommoni, di intervenire. Ma i porti, secondo le stesse organizzazioni, resterebbero chiusi solo per loro. «Nessun programma europeo di salvataggio in mare – fanno sapere -, Open Arms bloccata in Spagna, Sea Eye in cerca di un porto per cambio di equipaggio. Non possiamo coprire tutto il Mediterraneo centrale da soli».

Una polemica smorzata dalla Guardia costiera italiana. «Alla Sea Watch – si legge in una nota – che aveva contattato la centrale operativa della guardia costiera italiana dando la propria disponibilità a partecipare alle operazioni di soccorso, è stato comunicato che la loro disponibilità sarebbe stata offerta alla guardia costiera libica, quale autorità coordinatrice dell’evento». Regole che invece le Ong stentano ad apprendere. Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. «Altri morti al largo della Libia – ha dichiarato il leader leghista- . Finché i porti europei rimarranno aperti, finché qualcuno continuerà ad aiutare i trafficanti, purtroppo gli scafisti continueranno a fare affari e a uccidere».

Ma ieri un altro soccorso è stato portato a termine dalla Sea Watch, che ha preso a bordo 47 persone che erano su un altro gommone, senza però – fanno sapere dalla Ong – ricevere indicazioni sul porto di approdo. Immediato il commento di Salvini: «vadano a Rotterdam o Amburgo»

il giornale.it

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