Ogni 5 anni siamo vecchi La tecnologia ci rottama

Come è noto, il cambiamento non è una novità. L’abbiamo imparato sin dai tempi antichi. La novità è l’accelerazione sempre più forte del cambiamento.

Ci riferiamo, in particolare, ai progressi sempre più rapidi di scienza e di tecnologia. Quali sono i tempi necessari perché il cambiamento sia assimilato e diventi parte delle proprie conoscenze e competenze? Naturalmente è l’Uomo che singolarmente può assimilare per primo il cambiamento. L’ipotesi è, però, che si tratti dell’individuo più motivato e più intelligente. Anche l’individuo più motivato e più intelligente non assimila il cambiamento e non lo traduce in proprie conoscenze e competenze in tempo reale. Facendo un riferimento alle istituzioni in cui si articola il nostro Paese, il Comune ha bisogno di tempi maggiori rispetto all’individuo perché si tratta di molte persone, non tutte super motivate e super intelligenti. La Provincia necessita di tempi più lunghi del Comune perché comprende un numero maggiore di individui, ecc… Tempi ancora maggiori richiede una Regione e, ancora più, il Paese. Il tempo massimo è quello dell’Unione di Paesi, come ad esempio l’Unione europea, non solo perché comprende un numero molto maggiore di persone, ma perché comprende Paesi con culture molto diverse, con altrettanti diversi livelli di sviluppo economico, ecc… In questa realtà, sempre più rapida e sempre più sfidante, una generazione di conoscenze e di competenze dura meno di cinque anni. Questa è una sorta di rivoluzione perché in precedenza ognuno viveva ed operava con il supporto di quello che aveva imparato dai genitori e dagli insegnanti. Oggi gli insegnamenti possono costituire ancora la base per un individuo ma non sono più quello che può portare al successo. In sintesi, è esplosa l’autoresponsabilizzazione individuale, trave portante di ogni processo educativo. Cresce progressivamente il divario tra la realtà esistente e quanto un individuo conosce. All’impiego a vita si sostituisce l’impiegabilità a vita. La differenza consiste nella capacità di ciascuno di assicurarsi sistematicamente conoscenze e competenze aggiornate e utili sul piano pratico. Non si tratta di un giudizio di valore, è la realtà ed è evidente la necessità di autoresponsabilizzazione di tutti. I figli devono lavorare con conoscenze e competenze diverse da quelle dei genitori, gli studenti da quelle dei loro insegnanti, i più giovani da quelle dei meno giovani. Ognuno deve rinnovare più volte, nella propria vita, il patrimonio di conoscenze e competenze, a qualsiasi età. Nell’epoca della piena autoresponsabilizzazione individuale, si moltiplica la responsabilità sociale della cosiddetta classe dirigente, la quale deve non solo essere consapevole ma anche rendere consapevoli le persone che amministra, creando le condizioni perché ciascuno possa responsabilmente tutelare il proprio futuro. A tutti i livelli (individuo, comune, provincia, regione, paese, unione di paesi) è necessaria una grande chiarezza di idee, di scelte e di azioni circa chi si vuole diventare/essere, entro quando e l’adozione di criteri meritocratici perché viviamo in una società sempre più competitiva. È la meritocrazia che consente di premiare i giovani più capaci, indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali di partenza. Se i giovani non vengono educati alla competizione sin dai primi anni, si troveranno impreparati ad affrontare la vita, con conseguenze individuali e sociali negative. Torna di attualità il rischio dell’analfabetismo, inteso ora come mancanza di conoscenze e competenze aggiornate e utili sul piano pratico («analfabetismo di ritorno»).

Alfredo Ambrosetti
fondatore studio Ambrosetti

il giornale.it

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