Mestre, la capitale della droga in mano alle bande di nigeriani

Mestre – Alle 14:41 del 10 luglio scorso è scattata a Mestre l’operazione San Michele della squadra mobile di Venezia. Quasi cinquecento uomini delle forze dell’ordine e un elicottero sono stati impegnati nella maxi retata nei pressi della stazione: un blitz programmato nei minimi dettagli e reso sempre più necessario dalle decine di morti in città per mano dell’eroina gialla, che continua a mietere vittime.

Una droga devastante che ha trasformato quella fetta di Venezia nella capitale dello spaccio del Nord-Est. La “gialla” è fino a cento volte più pura dell’eroina che solitamente si può trovare in strada: viene tagliata con un potentissimo analgesico a uso ospedaliero, il Fentanyl, che ha un’efficacia molto superiore alla morfina. In via Monte San Michele, il clan dei nigeriani la produceva in un laboratorio clandestino e poi si occupava di smerciarla dall’alba fino a notte fonda per le vie della città, servendosi di decine e decine di pusher, in bicicletta e non. Soprattutto nel quadrilatero della morte tra via Trento, via Col di Lana, via Piave e, appunto, via Monte San Michele. Un vero e proprio market della droga aperto h24, con tanto di vedette sui palazzi per presidiare al meglio il territorio. (Guarda il video)

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Qui gli africani spacciano di tutto, eroina e cocaina, attirando orde di tossicodipendenti. A Mestre, infatti, arrivano da tutto il Nord Italia, specialmente dal vicino Friuli, per acquistare l’eroina gialla e altre sostanze stupefacenti. Le ultime vittime della droga killer – che si continua a trovare a due passi dalla Laguna – sono una ragazza di Udine di appena 16 anni, trovata senza vita la settimana scorsa nel bagno della stazione della cittadina friulana, e un bidello cinquantenne, morto in casa pochi giorni fa dopo aver fatto uso di quell’eroina.

Mestre in ostaggio

Seduti su una panchina a Marghera, scambiamo due parole con un’anziana signora: “Io non ho paura, ho un bastone qua con me. Però per tanto tempo abbiamo dovuto subire baruffe e lotte: rompevano bottiglie e si tagliavano il collo. Ora va un po’ meglio, ma la sera dobbiamo rimanere chiusi in casa: comunque, è meglio non uscire”.

Per tutti i mestrini, e non solo per residenti dei quartieri più colpiti dalla piaga, la situazione è stata disperata e invivibile per circa due anni, perché le bande di nigeriani (affiancate da malviventi di altre nazionalità) hanno fatto il bello e il cattivo tempo, avvelenando la città e gettandola in un tunnel di degrado assoluto. La polizia, grazie all’amministrazione Brugnaro, ha liberato quel quartiere – quaranta persone in arresto e dodici espulsioni dall’Italia – e i residenti sono tornati a vivere senza andare a sbattere ogni giorno, ogni ora, contro pusher appostati o di passaggio.

Ma guai a cantar vittoria, perché l’eroina continua a girare. Ora, grazie alle numerose pattuglie in servizio – coadiuvate anche dalla polizia municipale e dalle camionette dei militari – la situazione è abbastanza tranquilla, a partire dalla stazione. Ma basta camminare, per esempio, fino al parco di villa Querini per imbattersi anche in pieno giorno in capannelli di nigeriani che spacciano droga seduti su panchine e muretti. Un giardino che gli africani controllano come ne fossero i padroni incontrastati. La sera, comunque, il buio è alleato del degrado: soprattutto a tarda ora, chi vende stupefacenti ha meno timore di farlo e chi la compra trova più facilmente un angolo nascosto dove preparare una dose e iniettarsela subito in vena. Siringhe, fazzoletti sporchi di sangue e pezzi di alluminio per scaldare le droghe sono gettati nei tombini o sparsi nelle zone verdi della cittadina veneziana.

Per esempio, il parchetto dietro la fermata del tram di piazzale Giovannacci (a Marghera) o in piazzetta San Francesco (a Mestre). Qui, i tossicodipendenti hanno preso d’assalto, dopo l’orario di chiusura, il patio di un ristorante. Al mattino, ogni giorno, chi va a tirare su la serranda trova siringhe usate tra i tavoli all’aperto delimitati dalle siepi. Nei vasi, poi, c’è di tutto: oltre agli aghi, anche lattine e bottigliette usate per cucinare e inalare la droga. Segno che la piaga è ancora lontana estirpata, nonostante la controffensiva lanciata dalle istituzioni locali.

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