Bersani attacca Meloni: “Nel mondo si mettono a ridere di noi”

Bersani contro Meloni: il duro attacco TV

Negli ultimi giorni, la scena politica italiana è stata scossa dalle dure parole di Pier Luigi Bersani nei confronti della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. L’ex segretario del Partito Democratico, noto per le sue posizioni critiche verso la destra, ha colto l’occasione di un contesto internazionale per lanciare un attacco frontale alla premier, accusandola di non cogliere il valore simbolico e politico degli eventi mondiali e di inseguire una narrazione che, a suo dire, rischia solo di esporre l’Italia al ridicolo.

Roma centro del mondo per un giorno: la politica resta indietro

La miccia è stata accesa durante i solenni funerali di Papa Francesco, un evento storico che ha riportato Roma sotto i riflettori della diplomazia mondiale. Capi di Stato e di governo, esponenti delle principali potenze globali, si sono ritrovati nella maestosa cornice della Basilica di San Pietro per rendere omaggio al Pontefice scomparso. Le immagini, diffuse da ogni testata internazionale, hanno mostrato leader come Emmanuel Macron, Keir Starmer, Volodymyr Zelensky e persino Donald Trump impegnati in un confronto informale ma potentemente evocativo, poco prima della cerimonia funebre.

In tutto questo, Giorgia Meloni era assente. Una mancanza che non è passata inosservata, e che Bersani ha immediatamente trasformato in un argomento di accusa. Durante la sua partecipazione al programma televisivo “Otto e mezzo” su La7, l’ex ministro ha sottolineato con forza il significato di quell’assenza: “Roma aveva l’occasione di mostrarsi per ciò che è: un simbolo universale di accoglienza, di dialogo, di spiritualità. Invece, la premier ha scelto di non esserci”.

Queste le sue parole:

“In quei giorni c’è stato nel mondo un salto dell’immaginario collettivo su Roma. Basta vedere quelle immagini lì che hanno girato il mondo. La Meloni doveva semplicemente affiancare quelle immagini e dire: ‘Ecco qua Roma, il posto dell’universalismo, il posto dell’accoglienza, il posto dove si può discutere di pace‘. Questo doveva fare. Basta. Ed ero contento io, era contenta lei, era contento il mondo e non stavamo qui a discutere chi si è seduto su una sedia o no, perché così – continua – ci facciamo compatire davvero. Se si mettono a ridere di noi in giro per il mondo, non dobbiamo stupirci. Noi avremmo dovuto interpretare quel sentimento. Avevamo la briscola in mano. Ma l’abbiamo vista Roma in quei giorni? Abbiamo visto la prova che ha dato Roma? E perbacco, interpretala, no? E invece la Meloni ha fatto un incontro con Orban e un altro con Milei“.

La critica di Bersani: “Meloni pranza con Milei mentre il mondo si incontra”

Bersani ha poi ricordato come, mentre i grandi della Terra discutevano tra loro in uno dei momenti più significativi degli ultimi anni, Giorgia Meloni veniva immortalata in un contesto ben diverso: a pranzo con il presidente argentino Javier Milei, in un ristorante di via Veneto. Secondo l’ex leader della sinistra, questo episodio rappresenta più di una semplice scelta di agenda politica: “Era un momento in cui si scriveva una nuova pagina della storia internazionale, e l’Italia non c’era. O meglio, c’era in una veste marginale, lontana dal cuore degli eventi”.

“Non prendiamoci in giro: Meloni non è il regista della politica globale”

La narrazione proposta da alcuni ambienti politici e mediatici italiani, secondo cui Giorgia Meloni sarebbe diventata una figura centrale nei giochi di potere globali, non convince affatto Bersani. “L’idea che Meloni sia una sorta di regista occulta della diplomazia mondiale è semplicemente ridicola”, ha dichiarato con tono ironico. “Personaggi come Trump, Putin, Starmer o Macron non hanno certo bisogno della mediazione di Meloni. E quando cercano un interlocutore, si rivolgono altrove”.

Per Bersani, il problema è duplice: da un lato c’è la distanza concreta dai luoghi dove si definiscono le relazioni internazionali; dall’altro, una totale assenza di visione strategica e comunicativa. “Non si può pensare di essere protagonisti solo con qualche slogan ben confezionato o con alleanze di comodo. Serve presenza, serve credibilità, serve soprattutto coerenza”, ha insistito l’ex segretario del PD.

Simboli e comunicazione: “Occasioni sprecate che ci fanno perdere dignità”
Pier Luigi Bersani ha poi messo in evidenza come l’assenza di Meloni ai funerali del Papa non sia solo un errore politico, ma anche un fallimento comunicativo. “Il mondo ha visto cosa ha rappresentato Roma in quel momento. Poteva essere una vetrina straordinaria per dimostrare il ruolo che il nostro Paese può avere nei contesti globali. Invece, ci siamo autoesclusi. E quando ci si esclude da appuntamenti simbolici come questi, non si fa che peggiorare l’immagine dell’Italia a livello internazionale”.

Secondo Bersani, questo tipo di comportamento indebolisce la credibilità dell’Italia e riduce le possibilità di influenzare davvero gli equilibri geopolitici. “La nostra capitale era al centro dell’attenzione mondiale, eppure il nostro governo era altrove. Ecco perché ci ridono dietro”, ha aggiunto, con una punta di amarezza.

Il tema della memoria: Ramelli e le accuse di memoria selettiva
Durante l’intervista, Bersani ha affrontato anche un secondo tema di grande rilevanza: la gestione della memoria storica da parte del governo. In particolare, si è soffermato sul video diffuso da Giorgia Meloni in occasione del 50° anniversario della morte di Sergio Ramelli, giovane militante neofascista assassinato nel 1975 da esponenti dell’estrema sinistra.

Meloni, nel messaggio, ha parlato di una memoria che “inizia a essere condivisa”, lodando il gesto commemorativo del francobollo dedicato a Ramelli. Per lei, si trattava di un passo verso una pacificazione nazionale.

Bersani, però, ha criticato duramente quella che ha definito “una memoria a senso unico”. Ha ricordato come, pochi giorni dopo, cadrà un anniversario altrettanto significativo: quello della morte di Alceste Campanile, ucciso nel 1975 da un militante neofascista, condannato anche per la strage di Bologna. “Si può parlare di riconciliazione solo se si riconoscono tutte le ferite del nostro passato. Ma Meloni continua a evitare di chiamare fascista quella strage, nonostante le sentenze”, ha attaccato Bersani.

Una richiesta di verità e responsabilità storica
Per l’ex ministro, il vero problema è la mancanza di equilibrio nel trattare il passato. “La memoria deve essere collettiva, non selettiva. Deve riconoscere sia le vittime della violenza rossa che quelle del terrorismo nero. Non si può usare la storia come uno strumento di propaganda politica”, ha sottolineato Bersani, rivolgendosi direttamente alla premier.

Secondo lui, un presidente del Consiglio ha il dovere morale e istituzionale di promuovere una riflessione onesta sul passato dell’Italia, senza omissioni né preferenze ideologiche. “Serve un atto di verità prima ancora che di giustizia”, ha concluso.

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