Gianluca Vialli, la sua malattia è iniziata così: come l’ha scoperta

L’Italia, e non solo il mondo del calcio, ha detto addio a Gianluca Vialli, morto a Londra il 6 gennaio del 2023. Il paese intero è rimasto col fiato sospeso per settimane, quando lo stesso ex calciatore ha comunicato la necessità di allontanarsi dal suo lavoro nella nazionale italiana per tornare in Inghilterra e continuare la sua lotta contro il tumore.

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Ha combattuto come un leone, questo è stato evidente dal principio, da quando, nel 2017, ha scoperto di essere malato. Lui stesso nel suo libro intitolato Goals (Mondadori, 2018) ha raccontato i passi della sua lotta contro il cancro. E come tutto quell’orrore – come molti definiscono un male così aggressivo, che condiziona in modo totale l’esistenza di chi ne viene colpito – è drammaticamente cominciato.

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Gianluca Vialli, com’è iniziata la malattia: i primi sintomi avvertiti

“Mentre facevo con la mia fisioterapista un certo esercizio per i glutei, ho sentito una fitta alla gamba, come se avessi un cane che mi mordeva il polpaccio. Nervo sciatico, mi hanno detto, niente di cui preoccuparsi. Forse no, ma ho passato sei settimane senza quasi riuscire a dormire, ho perso peso e buon umore”.

“C’è voluta una risonanza per scovare un’ernia appollaiata sopra al nervo, una cosa che per i dottori si poteva risolvere con un piccolo intervento, e allora avanti, facciamolo. Ma, dopo, i morsi non smettono. Così passo a una terapia in cui si inietta nella zona infiammata un gas che è una combinazione di ossigeno e ozono. E ancora niente”.

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Poi c’è una telefonata con l’ex collega e amico Gianluigi Buffon, fatta per chiedere al portiere il nome di un buravo ortopedico. Gianluca Vialli racconta: “A questo punto c’è la telefonata a Gigi Buffon per avere il nome di un bravo ortopedico: “Mi passa il nome di un gigante dell’ortopedia di Milano. Lo chiamo e prendo appuntamento per il lunedì, subito dopo il mio consueto weekend negli studi di Sky. Gli consegno gli esami, lui mi guarda dritto negli occhi e mi propone un’alternativa: un’operazione, subito, in anestesia totale; oppure aspettare sei settimane sperando che l’ernia rientri per conto suo”.

“Scelgo l’operazione, mi lascio addormentare, e già il giorno dopo sono di nuovo a Londra, anche se in clinica mi avevano raccomandato almeno tre giorni di degenza. Mia moglie mi dice che sono matto. E io, per la prima volta in vita mia, mi sento così. Diverso. Svuotato, senza fiducia, piango senza motivo. Provo a camminare, ma è dannatamente difficile. Tanto difficile da sentirsi finiti.

E ancora: “Sono carico di farmaci di cui non ricordo nemmeno il nome e poi, una notte, una settimana dopo l’operazione alla schiena, sento i crampi allo stomaco, vomito, e da quel giorno smetto di mangiare, in preda alla nausea. Succhio liquirizia, che dicono aiuti, ma l’unico risultato che vedo, nel bagno, è un getto sempre più scuro. Denso”.

Poi la scoperta che nessuno vorrebbe mai fare: “La risposta me la dà la risonanza magnetica: ferma tutto, Luca. Hai un cancro al pancreas. Quando me lo dicono io ancora non lo so che è uno dei più gravi, ma lo capisco da come il dottore soffia le parole fuori dalle labbra: ‘Ci sono buone possibilità’. Buone possibilità di cosa? Mi chiedo. E, quando lo capisco, io che fino a quel momento della mia vita da atleta non sapevo niente di malattie, biopsie, pet-scan, di linfonodi e liquidi di contrasto, mi sento perduto”.

“Alla prima biopsia che faccio, il tecnico la butta lì: ‘Io non vedo niente, sai? Forse è benigno’. Allora lo abbraccio e lui ride, imbarazzato. Questo è davvero il colmo per un interista: essere abbracciato da Gianluca Vialli! Ma il mio tecnico preferito, purtroppo, si sbaglia. Non è benigno”. Da quel momento una battaglia lunghissima, vissuta sempre con coraggio e col massimo della dignità.

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