LUTTO TREMENDO, PICCOLO STEFANO: LE CAUSE DELLA MORTE

Storie da far raggelare il sangue, storie di cui si fa fatica anche solo a parlarne in cui le vittime sono minori, colpevoli, solo, se così si può dire, di essere nati in una famiglia sbagliata.

Di madri assassine, di padri orchi, è pieno il mondo, come la cronaca, nazionale ed estera, ci fa capire, attraverso fatti talmente terribili che si fa fatica a credere siano realmente accaduti.

Sembrano il frutto della mente di un regista dell’horror, del macabro, ma sono, purtroppo, cruda realtà con cui dobbiamo fare i conti per capire come sia sempre più dilagante il fenomeno dei figlicidi tra le mura domestiche.

Si tratta di una vera e propria emergenza, di una strage continua a cui va messa la parola fine. Che peccato hanno fatto dei bambini piccolissimi per essere barbaramente uccisi?

Come può una madre o un padre che li ha concepiti, decidere di porre fine alla loro esistenza? La storia di Stefano, avvenuta in Puglia il 30 giugno 2010, è ancora impressa nella mente di tutti coloro che lessero dell’efferato omicidio ai danni di questo povero piccolo.

Stefano, un meraviglioso bimbo di poco più di 2 anni, venne ucciso, senza alcuna pietà, da padre, il 32enne Giampiero Mele, originario di Taurisano. L’esame autoptico, effettuato dal medico legale Alberto Tortorella, ha rivelato che il piccolo è morto per asfissia e quando già il fiato non gli arrivava più, gli è stata tagliata la gola con un taglierino.

E’ stato ritrovato in una pozza di sangue che continuava a scendere a fiumi dal suo corpicino. Il 30 giugno 2010, il padre killer ha massacrato il figlioletto poco dopo le 15:00, in una palazzina di via Monte Pollino, a Marina di Ugento. Mele, stando alla ricostruzione effettuata dagli inquirenti, ha acquistato da un negozio di ferramenta, vicino alla sua casa al mare, una corda e un taglierino.

Ha fatto un cappio, legando il figlioletto ad una porta per cercare di impiccarlo. Quella corda stretta al collo gli ha smorzato il respiro, ma, non contento, con il taglierino gli ha tagliato la giugulare, accelerando il sopraggiungere del decesso che ormai era inevitabile. Il piccolo, quando il taglierino gli ha squarciato il collo, non era più cosciente, seppur agonizzante.

Questo quanto accaduto al povero Stefano. Un orrore legato alla paura del killer di essere abbandonato dalla sua compagna. Gianpiero Mele, ha provato, subito dopo, a suicidarsi, venendo ricoverato all’ospedale Ferrari di Casarano, in attesa dell’intervento chirurgico per riparare le forti lesioni al tendine dell’avambraccio destro che si sarebbe reciso con la stessa arma utilizzata per uccidere il figlio, ossia con il taglierino.

L’uomo, che non ha mai avuto la forza di parlare, chiedendo solo di poter raggiungere suo figlio in cielo, è accusato di omicidio volontario, con l’aggravante di aver agito con crudeltà e nei confronti di un essere indifeso per età. Lo avrebbe fatto con premeditazione, per futili motivi. La salma del piccolo è stata portata a Giorgilorio, paese di origine della mamma, Angelica Bolognese, devastata dal dolore. Una storia davvero terribile, un’altra vittima innocente della crudeltà umana.

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