Sparatoria Ardea, lo strazio della mamma: le sue parole quando li ha visti per terra

ROMA — È stato forse il suo istinto materno a farla correre fuori casa e andare dritta sul luogo dove i suoi figli erano stati appena colpiti, quando gli altri in casa ancora si interrogavano su quelle esplosioni arrivate da fuori. Via Orsa Maggiore e via Corona Boreale sono separate solo da un campo da calcio, la visuale è aperta e percorrendo quei 100 metri Carol ha avuto la temuta conferma al suo presentimento. È stata la prima ad arrivare da Daniel e David, a tenere le loro teste mentre chiamava disperata il marito Domenico:

«Non era il rumore dei petardi che si sente ogni tanto — ripete ventiquattro ore dopo a chi le sta vicino, cercando di offrirle un impossibile conforto — e neanche quello degli spari ai cinghiali. Sono arrivata lì ed erano in una pozza di sangue». Il giorno dopo aver perso i figli, i pianti della famiglia Fusinato non sono più coperti dalle urla della loro stessa disperazione ma lasciano il posto a un dolore più intimo, alla consapevolezza di una vita distrutta per sempre e con lo strazio ulteriore della mancanza di un perché.

Per realizzare quanto accaduto e iniziare a elaborare il lutto basterebbe forse anche una colpa da potersi attribuire, ma gli spari di Andrea Pignani contro quei due innocenti in bici non hanno una spiegazione e il senso di privazione non può aggrapparsi a niente per cominciare il lunghissimo percorso verso la cicatrizzazione della ferita, se mai arriverà. «Avevamo scelto questa villa per il loro bene, per permettergli di vivere al meglio la famiglia anche con il padre ai domiciliari — ripete Carol, 33 anni —. Il giardino, i viali tranquilli, il campo vicino per giocare. La possibilità di avere la nonna qui a fianco a darci una mano».

Gli interrogativi non danno tregua perché non ci sono risposte: «Dovevamo vigilare di più? E come? Erano appena usciti di casa e a minuti sarebbero tornati come sempre senza problemi. Mi hanno detto “arriviamo in tempo per il pranzo” e invece non li ho più visti». Da un anno e mezzo i Fusinato vivono qui. La routine era finora scandita dalla sveglia presto della mamma per accompagnare i bambini a scuola a Ostia, dove hanno sempre vissuto e dove anche lei lavora. Il loro unico orizzonte è ora invece il via libera all’autopsia sui bambini, che il pm dovrebbe disporre già oggi, in modo da poterli poi riavere almeno per i funerali. Ma dal chiuso della villetta la famiglia fa trapelare anche la propria indignazione su come la vicenda è stata raccontata.

Il loro unico orizzonte è ora invece il via libera all’autopsia sui bambini, che il pm dovrebbe disporre già oggi, in modo da poterli poi riavere almeno per i funerali. Ma dal chiuso della villetta la famiglia fa trapelare anche la propria indignazione su come la vicenda è stata raccontata. «Come è possibile che quell’uomo girasse armato e io ho dovuto chiedere il permesso per stare vicino ai miei figli?» è il concetto ripetuto anche ieri dal papà Domenico, il più determinato nel tenere lontani i giornalisti. E poi i soccorsi. «Ci sono voluti 40 minuti per vedere arrivare l’ambulanza, chi mi dice che i miei figli non si potevano salvare?».

Da parte sua l’Ares precisa che «la prima telefonata al 112 è delle ore 10.57 e 32 secondi, che immediatamente è stata trasferita ai carabinieri perché erano segnalati spari, e al 118. Ci siamo allertati inviando subito la prima ambulanza con medico a bordo, che è giunta sul posto esattamente dopo 11 minuti». L’amarezza si mescola allo sconforto. «Sono circolate ricostruzioni senza fondamento su presunte liti o vendette legate alla detenzione di Domenico Fusinato. Ma lui quell’uomo non l’aveva mai visto – ribadisce l’avvocato della famiglia, Diamante Ceci -. Tanto più che il braccialetto elettronico avrebbe segnalato ogni allontanamento dalla villa». E qui entra in gioco un’altra beffa del destino. Proprio gli arresti domiciliari a cui era sottoposto il padre dei bambini avrebbero potuto forse salvarli. Pochi minuti prima che Daniel e David uscissero in bicicletta era passata l’auto dei carabinieri per il controllo periodico sulla presenza in casa del detenuto. Un passaggio che di norma dura giusto qualche attimo. Quello in più che sarebbe invece servito per incrociare Pignani e impedirgli di uccidere quei bambini.

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