Immigrazione, la gendarmeria francese spara e bastona al confine con l’Italia: il caso che imbarazza Macron

Colpi di pistola alla frontiera. Poi manganelli e gas lacrimogeno. Et voilà. Signore e signori, o meglio mesdames et messieurs ma soprattutto amici e “compagni” di sinistra, ecco servita l’accoglienza francese ai migranti, il trattamento Macron, l’idolo dei progressisti dei porti spalancati che però, quando va bene, i clandestini li respinge a calci nel sedere. Da quando il nuovo Re Sole siede all’Eliseo, cioè da maggio 2017, oltralpe è successo di tutto. La regola ormai è la violenza.

L’ultima è andata in scena nel fine settimana, anche se come prevedibile i “grandi” giornali l’hanno fatta passare in cavalleria. E però avrebbero titolato in prima pagina se fosse stata la polizia di un governo di destra, anziché la gendarmerie, a sparare per spaventare una famiglia afghana di rifugiati trovata all’altezza di Monginevro e trascinata in Italia. Tra loro c’era una ragazzina di 11 anni poi finita sotto shock all’ospedale Regina Margherita di Torino. La poveretta ha riferito terrorizzata ai soccorritori del 118 di aver sentito dei colpi d’arma da fuoco, episodio che le ha ricordato quanto avvenuto quattro anni fa quando nel suo Paese è rimasta ferita da una bomba. Figuriamoci, dicevamo, cosa avrebbero scatenato i “compagni” se un tale fatto fosse successo da noi con al ministero dell’Interno Salvini. «Eravamo sul sentiero», ha detto la mamma della ragazzina ai medici, «e sono arrivati i poliziotti francesi. Ci hanno accerchiato e urlato di fermarci. Ho sentito gli spari». La polizia francese, ovviamente, smentisce.

Così come Macron nell’estate 2019 aveva tentato di smentire che la gendarmerie scaricasse illegalmente in Italia i richiedenti asilo, solo che poi in rete era cominciato a circolare il video in cui una camionetta della polizia che abbandonava a Claviere, nell’Alta Val di Susa, tre ragazzoni di colore. Ancora spari a fine novembre 2017, a Mentone, questa volta per fermare un’auto con a bordo due profughi appena entrata dall’Italia. Il conducente era stato ferito a una mano. «Sono convinto che non si tratti di scelte individuali degli agenti», dice a Libero Stefano Paoloni, segretario generale del Sindaco Autonomo di Polizia (Sap), «ma che dietro ci sia un’indicazione di tipo politico. Non conosco dall’interno la situazione francese, però escludo che un collega che lavora in un Paese civile si svegli la mattina con l’intento di usare la forza in modo arbitrario. Da noi non funziona così».

Quattro mesi fa gli agenti francesi hanno usato manganelli e lacrimogeni per sgomberare un campo profughi illegale in Place de la République, a Parigi. Le immagini sono state definite «scioccanti» dallo stesso ministro dell’Interno, Gerald Darmanin. Qualche giorno prima un episodio analogo in un altro accampamento a Nord della capitale. Nel frattempo i respingimenti di massa al confine di Ventimiglia sono diventati routine. Il regime democratico di Macron poche settimane fa voleva vietare alla stampa di trasmettere immagini di poliziotti in servizio.

La gendarmeria, nel 2018 tramite un dossier delle organizzazioni Oxfam, Diaconia Valdese e Asgi era stata addirittura accusata di abusi nei confronti di un’immigrata 12enne. La stampa di regime ha chiuso un occhio sugli spari dell’altro giorno e l’ha fatto anche sulla bambina di 9 anni trovata morta su un isolotto del Rio Grande, il fiume che separa Stati Uniti e Messico.

La poveretta è affogata mentre stava cercando di entrare nella democratica America di Biden, il quale non solo ha annunciato la regolarizzazione di milioni di stranieri e bloccato la costruzione del muro voluto da Trump per difendere il confine Sud, ma ha anche garantito che riunirà le famiglie dei migranti messicani richiedenti asilo, e ciò ha scatenato un folle esodo verso la terra promessa. Nel Rio Grande, poco prima, era stato trovato morto anche un uomo cubano. In Messico, al confine con gli Usa, ci sono baraccopoli intere di cittadini respinti. La situazione è fuori controllo. La vice di Biden, la paladina della sinistra mondialista Kamala Harris alla quale spetta la gestione dell’emergenza migratoria, ha dimostrato fin da subito d’essere nulla più che una figurina buona per il Black Lives Matter.

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