Quei due poltronisti per tutte le stagioni: Di Maio e Franceschini sempre in sella

Diciamoci la verità. Molti da Mario Draghi si sarebbero aspettati un governo più tecnico.

Ed invece esce fuori, a sorpresa (alcuni ministri non erano neppure stati avvertiti), un governo molto politico che racchiude in sé un lato positivo e uno negativo. Quello positivo è che Draghi, in questo modo, avrà in pugno il Parlamento. Aver nominato tanti politici produce il vantaggio di garantire una maggiore tenuta delle varie forze di partito, le quali, avendo ottenuto uno o più poltrone, avranno tutto l’interesse di assicurargli la fiducia.

Il lato negativo è che ci ritroviamo ad avere a che fare ancora coi soliti noti. Almeno due tra tutti: Luigi Di Maio e Dario Franceschini. Veri poltronisti di carriera, geni del trasformismo. Farebbero di tutto per garantirsi un posto ed, infatti, fanno di tutto. Come passare da un governo all’altro senza alcuna vergogna.

Di Maio. Prima di arrivare a Palazzo, nell’ordine fa il giornalista (pubblicista), l’informatico, l’assistente alla regia, l’agente di commercio, il cameriere, lo steward allo stadio e il manovale. Nel 2007 apre il meetup grillino di Pomigliano d’Arco e 6 anni dopo diventa vicepresidente della Camera dei deputati. Sebbene Grillo preferisse Alessandro Di Battista a lui come suo successore, il cauto Di Maio riesce a suon di sgomitate a mettere nell’angolo l’esuberante Dibba. Nel 2017 diventa capo politico del Movimento e nel 2018 viene rieletto alla Camera e da allora macina un governo dietro l’altro. A lui vanno bene tutti, basta non tornare a Pomigliano. Prima vicepresidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico e poi del Lavoro nel governo Conte I (con Salvini). Nel 2019 ministro degli Esteri nel Conte II (contro Salvini). E oggi, incredibilmente, riconfermato agli Esteri. Chissà Draghi che promesse ha fatto a Grillo.

Franceschini. Un vero maestro del poltronismo. Di Maio in confronto è un novellino anche se è suo degno allievo. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi D’Alema II e Amato II, ministro per i rapporti con il Parlamento nel governo Letta e dal 2014 al 2018 tripletta come ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo, prima con Renzi, poi con Gentiloni e, infine, nel Conte II. Un vero record di trasformismo. Praticamente gli sono mancati solo i governi Craxi e Berlusconi e poi li ha fatti tutti. Più democristiano di Zaccagnini, al quale si ispira senza successo, più doroteo di Rumor, dopo essersi fatto crescere la barba, ottiene più successi di D’Alema o Bersani. Tant’è che Draghi se lo riprende alla Cultura.

Infine, risbuca Andrea Orlando al Lavoro. Da assessore comunista della Spezia a ministro dell’Ambiente nel governo Letta e della Giustizia nei governi Renzi e Gentiloni. Rieccolo. E ancora, Lorenzo Guerini alla Difesa, democristiano ex sindaco di Lodi, creatura inventata da Renzi ed Elena Bonetti di Italia viva ripiazzata alle Pari opportunità dopo essersi dimessa aprendo la crisi.

Cosa tocca fare per accontentare tutti.

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