Così la sinistra perde l’unica ragione sociale

Stiamo ordinando una scorta di pop corn per goderci l’assai probabile spettacolo di vedere Salvini o ministri della Lega sedere in consiglio dei ministri accanto non solo ai 5 stelle ma anche alla sinistra, il Pd e Leu (se confermato Speranza).

Di fronte alla presenza della Lega, tutti gli alati discorsi sulla »emergenza», sull’«unità nazionale» si trasformano in pesanti gastriti nelle pance dei dirigenti ma soprattutto dei militanti. È vero, c’è anche Berlusconi ma la sinistra, sia pure obtorto collo, aveva già governato con lui, nella breve e sfortunata esperienza del governo Letta (durante il quale aveva espulso il Cavaliere dal Senato). Berlusconi è stato per anni l’oggetto della demonizzazione rossa, ma Salvini ne ha preso il posto, provocando ancora più malessere a quel variegato mondo. Rispetto a Berlusconi, Salvini era (ed è ancora) nell’immaginario della sinistra il «razzista», il «sessista», il «fascista», da accusare di ogni nefandezza. La demonizzazione di Salvini, cioè la paura nei suoi confronti, è stata talmente forte da far superare al Pd anche l’ostilità verso i 5 stelle: il secondo governo Conte, dal cui fallimento nasce il commissariamento Draghi, nacque proprio in funzione anti-Salvini. Per una sinistra sconvolta dall’esperienza del renzismo, l’anti salvinismo è stato infatti un succedaneo di cultura politica. La sinistra ha sempre demonizzato l’avversario ma finché possedeva una ideologia forte, la personalizzazione dell’odio era meno accentuata. Con il crollo del muro di Berlino, svuotata di identità, i post comunisti hanno trovato forza nella demonizzazione, prima di Bossi, poi ancora più di Berlusconi, quindi di Salvini. Una demonizzazione che permetteva anche di riaccendere uno dei miti della sinistra, quella dell’antifascismo, fino a quel momento un po’ sbiadito: l’avversario politico della sinistra, proprio perché tale, è sempre «fascista», indipendentemente dal periodo o dalle idee sostenute. Ebbene, oggi tutto questo dovrebbe finire: sarà difficile che esponenti ed intellettuali di sinistra si mettano a sparare a zero contro quello che è a tutti gli effetti un loro alleato. Questo provocherà una crisi di identità dei progressisti, da un lato, e dall’altro la ricerca di nuovi nemici. Il candidato numero uno, anzi la candidata, è sicuramente Giorgia Meloni che, tuttavia, per una serie di ragioni, non ultimo il suo essere donna, ha sempre attirato minor odio rispetto al leader leghista. E una sinistra senza nemico politico come farà a mobilitare le proprie truppe, stranite dal fatto che con l’odiato «razzista» oggi si spartiscono il potere? Il discorso potrebbe però essere anche rovesciato: il sovranismo leghista, oltre ad eleggere l’Europa come nemico, ha avuto come avversario la sinistra. Come farà a convincere i suoi che, da no euro si è passati in una settimana a sostenere il salvatore della moneta unica? E che ci si è alleati, di fatto, anche con la Boldrini? Sarà uno spettacolo, e quindi andiamo con i pop corn.

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