“La regia spetta allo Stato”. Una sentenza smaschera Conte

La regia è dello Stato. Lo dice la legge. Non ci voleva molto a capirlo, ma da mesi il premier Giuseppe Conte sta cercato di chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità in quella che è una delle pagine più buie dell’emergenza sanitaria che da un anno a questa parte mette in ginocchio l’Italia: la mancata disposizione della zona rossa nella Val Seriana.

A lungo il governo ha cercato di addossare le colpe dei ritardi (e quindi delle vite spezzate da certe scelte sbagliate) sul conto della Regione Lombardia e del governatore Attilio Fontana. A Bergamo i magistrati stanno cercando di vederci chiaro, ma giovedì scorso una sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito (una volta per tutte?) che gli interventi che rientrano nella materia della profilassi internazionale sono “di competenza esclusiva dello Stato”. Esclusiva, appunto.

La strategia (sbagliata) di Conte

L’ultimo caso, su cui la Consulta si è dovuta pronunciare, è quello della Valle d’Aosta che lo scorso 9 dicembre, in aperto contrasto con le scelte fatte da Conte, aveva varato misure più soft rispetto a quelle imposte dal governo. Con l’ordinanza depositata giovedì scorso, di cui è relatore il giudice Augusto Barbera, i “giudici delle leggi” hanno sospeso la direttiva regionale accogliendo l’istanza proposta da Palazzo Chigi nel ricorso contro la Valle d’Aosta. La decisione è stata presa “in via cautelare”. Non è definitiva, insomma. La Corte Costituzionale ci tornerà su il 23 febbraio. Come fa notare l’agenzia Agi, è la prima volta che la Consulta decide di sospendere “in via cautelare”. Una scelta dettata dall’urgenza di porre un freno ai presidenti di Regione che vanno per la loro strada. E questo non è solo un importante precedente per tutto quello che verrà legiferato nei prossimi mesi ma, come sottolinea Sabino Cassese sul Corriere della Sera, dimostra (finalmente) che “la strada imboccata dallo Stato fin dal marzo scorso è sbagliata”. “Gli interventi resi necessari dalla pandemia non rientrano tra quelli nei quali Stato e regioni si spartiscono i compiti, ma tra quelli che spettano esclusivamente al governo, con cui le regioni debbono collaborare”, spiega il giurista evidenziando che a questo punto il governo “dovrà reimpostare tutta la sua strategia”. “Con un anno di ritardo – continua – ci accorgiamo che un fenomeno mondiale non può essere fronteggiato dividendosi. Il pluralismo anti-pandemia è una contraddizione in termini”.

I poteri e i doveri del governo

La Corte Costituzionale non lascia ampi spazi. Dal momento che “sussiste altresì ‘il rischio di un grave e irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico’ nonché ‘il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini’ (art. 35 della legge n. 87 del 1953)”, i giudici hanno stabilito che “la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza dello Stato”. A regolare questo principio inderogabile è la Costituzione stessa all’articolo 117, secondo comma, lettera q. Secondo l’ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, la sentenza non è importante soltanto perché sancisce la “competenza esclusiva dello Stato”, ma perché, come ha spiegato ieri sul Messaggero, stabilisce che “le scelte dei governatori devono inscriversi nella cornice che fissa lo Stato”. Insomma, “le regioni non possono andare per conto loro, ma occorre per quanto riguarda l’azione di contrasto della pandemia un’azione unitaria che, in base alla costituzione, spetta solo allo Stato. Questo – conclude – non significa che non possano esserci condizioni diversificate ma la cabina di regia deve essere unica e centrale”. Questo principio non può dunque essere confinato al solo caso della Valle d’Aosta, dove, come fa notare sul Messaggero l’ex vice presidente della Consulta, Enzo Cheli, “l’uso di un potere esercitato per la prima volta dà la misura del pericolo paventato dall’Avvocatura dello Stato”, ma deve essere allargato anche alle responsabilità che il governo deve prendersi e che da marzo a oggi non sempre si è preso.

Il precedente della Val Seriana

La sentenza della Consulta irrompe nel dibattito, mai sopito, sulla responsabilità della mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana. Spettava a Conte o a Fontana istituirla? Il Cts, come rivelato nel Libro nero del coronavirus (clicca qui), invitò i decisori politici a sbarrare la Bergamasca. La giunta lombarda chiese misure drastiche. Sul posto vennero inviati carabinieri e forze dell’ordine. Tutto era pronto. Ma il governo decise di aspettare, rimandò la decisione, fino a non prenderla mai. Sarà un giudice a decidere se i fatti costituiscono reato. Ma politicamente la faccenda merita di essere risolta. Conte e il ministro Boccia hanno più volte cercato di addossare le colpe alla Lombardia, sostenendo che una legge del 1978 avrebbe permesso anche al governatore di disporre la zona rossa. A inchiodare il governo alle sue responsabilità, però, ci sono due fatti: da una parte la battaglia legale con le Marche; dall’altra, è l’ultima novità, la sentenza della Corte costituzionale.

Quando Luca Ceriscioli, del Pd, decise di fermare le attività scolastiche nella sua regione il governo impugnò il provvedimento per annullarlo. Ricordate? Conte voleva che tutti seguissero il sentiero battuto dallo Stato centrale. In rete si trovano ancora decine di dichiarazioni in cui i ministri invitano i presidenti a “non fare di testa propria”: il governo aveva avocato a sé il potere decisionale in piena pandemia. Roma voleva decidere e lo fece capire ai governatori. Se Fontana avesse istituito la zona rossa, sempre che la Difesa avesse messo a disposizione i militari necessari, il governo avrebbe probabilmente impugnato l’ordinanza. Inoltre oggi sappiamo, dice la Consulta, che spettava a Conte gestire gli interventi di “profilassi internazionale”: è “competenza esclusiva dello Stato”. Dunque lo sono anche le responsabiltà sulla Val Seriana. Oneri e onori di chi governa.

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