Non solo Google e Apple, anche Amazon fa fuori Parler. La guerra a Trump continua

E’ scontro totale tra il Gafa e Trump. Le big companies vogliono mettere a tacere per sempre quello che è ancora a tutti gli effetti il presidente degli Stati Uniti. E così dopo il ban di Facebook e la censura definitiva di Twitter, ieri Google e Apple sono intervenute direttamente contro Parler, il social senza censure sostenitore del “free speech”, dove i sostenitori di Trump stanno trovando rifugio. Via dal Google Play Store e dall’App Store di Apple. Ma non basta. L’ultima notizia è che anche Amazon si appresta a fare fuori Parler. La società di Jeff Bezos rimuoverà il social dal suo servizio di cloud hosting, Amazon Web Services, domenica sera. A chiederlo sono stati gli stessi dipendenti Amazon. Di fatto alle ore 23.59 “pacific time” di oggi il sito web di Parler verrà chiuso, fino a quando non verrà trovato un nuovo provider hosting.

Le big companies alzano il livello dello scontro

Dunque Facebook, Twitter, Google, Apple e Amazon stanno sferrando un attacco congiunto non solo contro Trump e i suoi sostenitori, ma anche contro chi si propone di offrirgli una “casa” dove poter semplicemente esprimere un’opinione. La scusa utilizzata da questi colossi privati per decidere chi può parlare e chi no è sempre quella del contrasto all’odio. Amazon Web Services ha motivato la decisione di fare fuori Parler dal proprio servizio riportando 98 esempi di “post che chiaramente incoraggiano ed incitano alla violenza”. La società di Bezos ha inviato una vera e propria missiva ai responsabili di Parler: “Abbiamo assistito a un costante aumento di questi contenuti violenti sul vostro sito web, il che viola i nostri termini. È chiaro che Parler non dispone di un processo efficace per conformarsi ai termini di servizio di AWS”.

La legge dello Stato viene dopo gli “standard della comunità”

Insomma la questione è sempre la stessa: i privati ritengono i propri “standard della comunità”, i propri “termini di servizio”, superiori alla legge di uno Stato. Arrogandosi così il diritto di decidere chi può parlare e chi no in quello che, erroneamente, considerano il proprio giardino privato. L’enorme numero di utenti, il flusso di notizie che passa sui social e sul web, la possibilità per le diverse fazioni politiche di esprimersi, fanno invece dei social degli attori pubblici a tutti gli effetti (a tal proposito questo provvedimento del Tribunale di Roma che impone a Facebook di riattivare la pagina di CasaPound parla chiaro).

Il Ceo di Parler risponde ad Amazon

Il Ceo di Parler, John Matze, ha avvertito gli utenti che il sito non avrà più una piattaforma che lo ospita. Dunque il rischio per Parler è quello di essere offline per una settimana, il tempo per “ricostruire da zero” trovando una casa alternativa ad Amazon. “Faremo del nostro meglio per passare a un nuovo fornitore in questo momento poiché abbiamo molti concorrenti per la nostra attività. Amazon vuole rimuovere completamente la libertà di parola da Internet”, ha detto Matze.

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