I grillini sacrificano le ministre pur di mantenere il potere

Sì al rimpasto. Va bene anche qualche ministro in meno. Al massimo i silurati si possono sempre piazzare nel direttorio.

La linea è quella della sopravvivenza, all’indomani dell’assemblea dei deputati con all’ordine del giorno la crisi di governo. Insomma, non sarà di certo il M5s a impedire una risoluzione politica dei problemi nella maggioranza. L’importante è evitare il voto, a ogni costo. Questo è ciò che conta di più per lo stato maggiore e il gruppo parlamentare. E così il Movimento è pronto a scaricare le sue ministre più traballanti. La sola difesa d’ufficio? Riservata alla discussa titolare dell’Istruzione Lucia Azzolina. Ancora furibonda dopo il blitz sulla scuola messo a segno dal Pd durante il Consiglio dei ministri notturno di lunedì. Per il resto, si è aperta la caccia alla poltrona. Nei gruppi parlamentari è partita la corsa per diventare ministro o sottosegretario. «Il gruppo è compatto ad andare incontro a un eventuale rimpasto», dice al Giornale un deputato che ha partecipato all’ultimo vertice del M5s. Anzi, «in tanti vogliono entrare nel governo». Ed ecco che la partita del rimpasto diventa un altro mini-congresso grillino. In caso di cambio della squadra di governo sarebbero fuori il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo e la collega dell’Innovazione Paola Pisano, nominata in quota Davide Casaleggio. Non è al sicuro nemmeno la posizione del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Precaria la poltrona del ministro dell’Ambiente Sergio Costa. L’ex braccio destro di Luigi Di Maio Vincenzo Spadafora (Sport) non è più tra gli «intoccabili». Dove resta invece Di Maio e dovrebbe rimanere anche Azzolina, difesa per il momento dai Cinque Stelle. Pure il capitolo dei sottosegretari potrebbe diventare una scusa per un regolamento di conti interno. Rischiano il posto infatti Angelo Tofalo alla Difesa e Alessio Villarosa all’Economia. Entrambi sono considerati dai «governisti» tra gli animatori occulti della fronda contro la riforma del Mes, ribellione che ha fatto ballare il governo un mese fa.

Fitta la lista dei pretendenti. Per una promozione si fa il nome del viceministro dei Trasporti Giancarlo Cancelleri, in lizza per sostituire il dem Giuseppe Provenzano al Mezzogiorno. Il gruppo dei «contiani» vorrebbe contare di più nella nuova squadra di governo, nonostante le perplessità di Di Maio, preoccupato dai tanti consensi del premier all’interno dei gruppi parlamentari. Un ambizioso fedelissimo di Conte, il vicecapogruppo alla Camera Riccardo Ricciardi, prova a dettare la linea, non condivisa nei conciliaboli dei «dimaiani». «M5s non appoggerà mai un governo che non sia un governo Conte», dice Ricciardi ad Agorà su Rai3. «Oggi parlare o paventare una crisi di governo sarebbe incomprensibile e irresponsabile» avvertono il capodelegazione Bonafede e il reggente Vito Crimi in una nota congiunta. Ma sottolineano come il M5s sia disposto a dialogare. La disponibilità è ampia sulle caselle del rimpasto. Tanto che nell’assemblea dei deputati di lunedì è stata avanzata l’ipotesi di cedere qualche postazione rispetto a quelle occupate oggi. «Meglio cinque ministri determinanti che dieci di poco peso» sintetizza un grillino.

E tutto si intreccia con le questioni interne. Con l’organo collegiale a capo del M5s che potrebbe diventare la camera di compensazione delle delusioni dei ministri sostituiti con l’ancora ipotetico rimpasto di inizio anno. Anche perché sembra che i big, come Di Maio e Alessandro Di Battista, si siano decisi a non entrare nel nuovo direttorio. Il Movimento che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno sta trattando su tutto. L’unica paura è uno showdown sul Mes. «Sarà difficile mantenere uniti i gruppi parlamentari se prendiamo il Mes, anche se ne prendiamo solo una parte», spiegano dai Cinque Stelle. Sul punto non c’è trattativa che tenga. Forse.

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