Rocco Casalino, il ritratto di Filippo Facci: “Il badante del premier che si vergogna del suo passato”

Rocco Casalino è l’uomo dell’anno, che è stato – tutti d’accordo – un anno di merda. È una sintesi complessa e sofisticata che tiene in considerazione vari fattori, ma è anche un concetto semplice che già scrivono sui muri (anno di merda) e sugli striscioni e in rete, anche se è un luogo comune offensivo per le cose buone che pure ci sono state: quando ci verranno in mente faremo degli esempi.

Tuttavia «uomo dell’anno», tornando a Casalino, pare un’espressione impegnativa e che scricchiola un po’: restituisce un senso di vertice, di acme, di livello, di homo faber che si staglia sopra la massa come una farfalla, immobile a mezz’ aria, che guarda dall’alto gli insetti brulicanti. Non è proprio così, anche se gli insetti c’entrano. Casalino, come il verbo grillino auspicava in origine, è parte integrante del terreno vischioso e fangoso in cui ci siamo inzaccherati (come Paese) ed è l’incarnazione autentica di quel «uno vale uno» dove sguazza il Paese imbruttito e incattivito descritto dal Censis, laddove milioni di internettiani si credono qualcosa mentre altri milioni, probabilmente di meno, l’hanno infine capito: uno vale uno, sì, ma quell’uno è un cretino. 

Insomma, chiamiamolo «omino dell’anno» e risolviamo così, per lo scorno di chi – come lo scrivente – per anni ha rifiutato la semplice esistenza di uno come lui nei paesaggi istituzionali: e invece bisogna ammetterlo, lui c’è, ci si stropiccia gli occhi ma lui c’è ancora, egli vive, esiste davvero, e fa delle cose che hanno delle conseguenze. È il portavoce del presidente Giuseppe Conte (non potrebbe portare la voce di nessun altro) e l’incredibile è che decide i tempi e i modi della comunicazione del governo, la quale comunicazione – poi basta, non useremo più questa parola – è di merda, perché ha tempi e modi da ciarpame gossip (prima e male: si sa tutto prima del tempo) e soprattutto è una comunicazione che ha paura di se stessa, non ha il coraggio delle proprie azioni anche perché spesso sono sbagliate o tardive. 

MARCHIO DI FABBRICA
In ogni caso: Casalino è l’omino che decide o concorda le doglie e il parto dei dpcm, ma, nondimeno, attraverso le scelte degli orari di comunicazione, decide le «scalette» dei principali telegiornali e delle reti televisive. Quindi non è più un semplice portavoce, è una specie di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ma senza titolo né giuramenti alla Costituzione. È una figura inventata (all’estero non esiste, ma non esisterebbe neppure nella fantasia di un romanziere) ma che di fatto potrebbe sembrare che comandi su Conte (per quel che ci vuole) e che, con la sua puntuale presenza fisica, ne sia il badante, il tutore, il consigliori, il segretario particolare, lo sbrigafaccende, comunque – ci arrendiamo, dobbiamo ammetterlo – una figura coerente perché perfettamente rappresentativa di questo governo, di questo momento storico (di merda, ops, non dovevamo più dirlo) e insomma, per dirla male, anzi benissimo: se lo meritano, Rocco Casalino. 

Siamo noi che forse non ce lo meritiamo, anche se in parte non è vero, perché una parte del Paese ha votato come ha votato. Per il resto, di ritratti di Casalino ne hanno già scritti tanti, non c’è da menarla ancora. Che egli nasca, sia e resti un concorrente del Grande Fratello (tecnicamente un morto di fama) è mera realtà e non può lamentarsene: anche se gli scoccia che i media lo ricordino. Ma è il suo marchio di fabbrica, consolidato e perfetto, una grande cicatrice sul corpo come un galeotto russo: deve rassegnarsi, non c’è niente di cui vergognarsi nel suo passato: è sul presente che abbiamo qualche dubbio. Deve rassegnarsi al fresco ricordo della faccenda col suo fidanzato, il ludopatico José Carlos Alvarez Aguila: perché, anche quella, è roba indelebile che peraltro anticipa di gran lunga i tempi del Grande Fratello: pura commedia all’italiana. Voi guardatelo come il lungo titolo di un film di Lina Wertmuller: «Cubano che è fidanzato col portavoce del Presidente del Consiglio percepisce indennità di disoccupazione e se la gioca in Borsa fornendo gli scontrini dei croccantini per il cane». 

Ne consegue che non può pretendere l’oblio, Casalino: è un ponte tra passato e presente (sul futuro ci tocchiamo le palle) e comunque all’oblio si è sostituito il rincoglionimento generale dopo un anno terribile, un anno di okay. Ma non calerà l’oblio sul master negli Stati Uniti che in realtà non ha mai frequentato. Non calerà l’oblio sulla sua collaborazione con Lele Mora e col suo ruolo di casinaro televisivo. E neanche sulle sue minacce di licenziamento verso una serie di dirigenti del ministero dell’Economia. E neanche sulla sua gestione sovietica e ricattatoria degli ospiti da mandare nei talkshow, o sulle pregiudiziali bullesche su determinati giornalisti (ciao Rocco) e insomma roba che ormai è vecchia, sì, ma non cade in prescrizione. 

TROPPO ITALIANO
Noi però parlavamo del 2020, che è l’anno del covid-19 e del Governo Conte. Ci basta. È lui l’omino dell’anno, che risiede a Ceglie Messapica mentre Giuseppe Conte e di Volturara Appula: magari bei posti (boh) ma centrali come il governo che ci ritroviamo. Rocco Casalino non è un demiurgo machiavellico, non è un’eminenza grigia: non cerchiamo paroloni, non sopravvalutiamolo e neanche ridimensioniamolo. Casalino è quella cosa lì. È nato in Germania, dove – ha raccontato – lui e la sua famiglia erano oggetto di discriminazioni perché italiani. In pratica e in fondo, da noi, succede la stessa cosa: è oggetto di discriminazione in quanto italiano. Troppo. Terribilmente. Irrimediabilmente. Homo, homini, lupus. Homo, omini, casalini.

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