Auto elettrica: lo sfruttamento (e l’imperialismo cinese) dietro la nuova moda “verde”

In un’epoca in cui il tema “green” è di moda e l’ecosostenibilità fa da padrone, è evitabile che anche il settore automotive ne sia influenzato. Non passa giorno che l’auto elettrica venga propinata come il futuro.

Questo “futuro” però, per muoversi ha bisogno di grandi batterie per poter contenere tutta l’eneria necessaria al funzionamento dell’auto elettrica. Batterie le cui componenti principali sono il litio e il cobalto. Proprio su quest’ultimo la Cina sta ricavando un monopolio a livello mondiale. Consolidandosi come partner dominante in tutta l’Africa, principale territorio dal quale questo materiale viene estratto, di cui oltre la metà provienente dalla Repubblica Democratica del Congo. Pechino promuove questo tipo di relazioni come esempi di “solidarietà fra le nazioni”. Espressione che nasconde una realtà che di solidale ha ben poco. Trattandosi semmai di una vera e propria colonizzazione del continente nero.

Auto elettrica: poco “verde”, molto sfruttamento

Partiamo dal cobalto, fondamentale per muovere ogni tipo di auto elettrica. Un tempo odiato dai minatori, in quanto simile all’argento ma di nessun valore e anche abbastanza tossico, è oggi elemento prezioso per la produzione di batterie. Dai telefonini a, per l’appunto, l’auto elettrica. Nelle miniere a cielo aperto, si richiede un lavoro molto faticoso e, delle ben 123mila tonnellate prodotte, ben 66mila provengono dalla Repubblica Democratica del Congo, estratte da non meno di 250 mila minatori.

Di questi, secondo l’Unicef, 40mila sarebbero bambini. Il tutto in un ambiente con condizioni insalubri, paghe da fame e situazioni di altissimo rischio di incidenti sul lavoro. Sotto gli occhi miopi di funzionari locali, che invece di assicurarsi delle condizioni lavorative sono troppo occupati a ricevere “mazzette” per guardare oltre.

Così la Cina conquista il monopolio

Uno sfruttamento ben noto al settore automotive mondiale, la cui coscienza si è piegata ormai al credo dell’elettrificazione politicamente corretta. In un mondo sempre più colorato da gessetti arcobaleno, non mancano, ovviamente, le ipocrisie dei costruttori che, pur affermando di non tollerare lo sfruttamento minorile, di fatto chiudono gli occhi additando la responsabilità per violazione di diritti umani ai loro fornitori cinesi. I quali di problemi di coscienza di certo non se ne fanno.

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Tutto questo sfruttamento al Congo rende pochissimo (meno del 10% dei diritti sulle estrazioni), mentre Pechino trae grandissimi vantaggi. In questo modo, l’impero del Dragone Rosso si avvia a diventare il più grande fornitore e “grossista” nel mondo dell’auto elettrica e non solo (alla pari di Amazon nella settore della logistica), mentre il vecchio continente è sempre più impegnato nella propria eutanasia, varando continue nuove leggi anti-inquinamento. Verso un mondo più pulito con macchine che non fanno rumore, fregandosene se per realizzare sono state necessarie le “grida” di migliaia e migliaia di bambini.

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