L’Aifa resta cauta sugli anticorpi monoclonali. La cura made in Italy (per ora) solo all’estero

Gli anticorpi monoclonali prodotti a Latina per l’azienda farmaceutica Lilly fanno il giro del mondo.

Ma per ora non verranno utilizzati in Italia. Questioni burocratiche? Stavolta no. Si tratta di tempi scientifici che non necessariamente corrispondono con quelli mediatici nè con quelli commerciali. Insomma, l’agenzia del farmaco Aifa vuole valutare e prendersi tutto il tempo necessario per valutare il miglior anticorpo monoclonale da distribuire in Italia e non è certo una settimana in più o in meno a fare la differenza. Inoltre, oltre al prodotto della Lilly, già approvato dalla Fda, c’è anche da valutare il progetto messo a punto a Siena dall’équipe dello scienziato Rino Rappuoli, pronto non prima di marzo.

I virologi fanno pressione. «Non capisco cosa blocchi l’uso dei monoclonali in Italia. In Usa hanno risultati molto incoraggianti« valuta il virologo della Emory University di Atlanta Guido Silvestri. «Questo ritardo è sorprendente, cosa aspettiamo?» incalza l’immunologa dell’università di Padova Antonella Viola.

«Gli anticorpi monoclonali sono seguiti con grande attenzione da parte di Aifa, di Ema e della comunità di ricerca – assicura Nicola Magrini, direttore generale Aifa – Tra l’altro non è vero che non abbiamo accettato usi compassionevoli. I monoclonali sono farmaci da usare precocemente a domicilio, perché nei pazienti più gravi è dimostrato che non funzionano e ciò è problematico data la necessità di infusione endovenosa. Credo che sarebbe utile fare uno studio clinico comparativo per capirne meglio il valore e il ruolo in terapia».

I dati che hanno consentito di autorizzare la diffusione dei monoclonali in altri stati, evidentemente non sono sufficienti in Italia, dove servono altri accertamenti.

«L’auspicio è che la terapia possa arrivare anche in Italia, la discussione è ancora in corso – spiega Concetto Vasta, direttore affari istituzionali Lilly – La nostra azienda ha altri anticorpi in sviluppo che potrebbero arrivare nel 2021. E potrebbero funzionare anche contro la variante inglese». Al momento l’azienda americana ha avviato in Italia la produzione di 2 milioni di dosi nel 2021 dell’anticorpo monoclonale dal nome impronunciabile (bamlanivimab). A gestire alcune delle fasi principali della produzione (la formulazione e il riempimento dei flaconi) sarà la Bsp Pharmaceuticals di Latina che produce già da dicembre oltre 100mila dosi al mese dedicate ai Paesi dove il farmaco è già stato autorizzato, ad esempio in Usa, Canada e Israele e Ungheria.

Da sempre destinati all’oncologia, gli anticorpi monoclonali sono stati studiati anche per la cura del coronavirus. E dalla comunità scientifica vengono considerati una «stampella» fondamentale per affiancare il vaccino e per traghettare le persone fuori dalla pandemia. Un’iniezione di anticorpi creati in laboratorio è infatti in grado di fare effetto dopo poche ore e di proteggere dal contagio per alcuni mesi, prima di essere replicata. Aiuta quindi a creare uno scudo in attesa del vaccino. «Abbiamo fatto in pochi mesi ciò che di solito richiede anni – spiega Huzur Devletsah, presidente e amministratore delegato di Lilly Italy hub – rispettando rigorosi standard per la sicurezza dei pazienti e la qualità dei prodotti. Abbiamo autofinanziato i costi di ricerca».

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