Lotteria degli scontrini: il “panem et circenses” del terzo millennio

Finirà mai l’auto-ridicolizzazione del governo Conte? La nuova frontiera di questo processo è la lotteria degli scontrini, partita lo scorso 1 dicembre ma che sarà ufficialmente operativa solo dall’inizio del nuovo anno.

Non parliamo di un’invenzione dei pentastellati, intendiamoci. L’idea ha già trovato attuazione ad esempio in Portogallo, con la “Fatura da Sorte” che mette in palio buoni del tesoro da 50mila euro. Ma anche in Cina con il “Lottery Receipt Experiment”, che trasforma gli scontrini in veri e propri gratta e vinci. A Taiwan c’è un’altra forma di scontrino-gratta e vinci con premi da 5 a 200 dollari, in Slovacchia si possono vincere soldi, automobili o una partecipazione a un famoso programma televisivo. Non va meglio in Grecia, dove stanno pensando di mettere in palio auto usate e una casa, mentre in Albania hanno istituito una lotteria con 511 premi. In Romania c’è una lotteria con premi in denaro, infine a Malta la “Vat Lottery” con premi che vanno da 200 a 11mila euro. L’elenco potrebbe essere ancora più lungo e in tutti i casi i risultati sembrano ottimi: la gente così paga le tasse e il fisco è contento.

La lotteria degli scontri non risolverà il problema dell’evasione

Ma il popolo, se fosse tale, se riconoscesse l’autorità statale, avrebbe bisogno di una lotteria degli scontrini per pagare le tasse? E’ ridicolo, nel terzo millennio, il fatto che si debba usare il sistema “panem et circenses” per tenere in piedi un Paese. Questo invece di sensibilizzare i cittadini su quelle che sono le questioni pubbliche, sui loro doveri, in modo da renderle un popolo che si riconoscono in una nazione.

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La lotteria degli scontrini non risolverà il problema dell’evasione fiscale, sarà come dare un antidolorifico a chi ha una gamba rotta: il dolore diventa latente, ma la gamba resta rotta. Servirebbe al contrario un governo che ricerchi risultati a lungo termine. Se ciò di cui abbiamo bisogno è stabilità e comunione d’intenti, allora occorre, in due parole, creare un popolo. Come osservava Massimo D’Azeglio, “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”: più di un secolo e mezzo dopo il processo si profila ancora assai lungo.

Biagio Damo

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