Il dossier sugli errori di Conte & Co. finisce al tribunale dei ministri

La conferma arriva il 19 marzo, il giorno dopo che una carovana di settanta camion dell’esercito ha attraversato Bergamo per portar via le salme da far cremare. “Ci sono elementi multipli per fare il test – spiega a Repubblica il generale Paul Friedrichs – I primi sono i tamponi che servono a raccogliere i campioni dalle persone, poi c’è il liquido dove svilupparli.

Questo è ciò che abbiamo portato dall’Italia”. Tre giorni prima è atterrato all’aeroporto di Memphis un cargo C-17 d’emergenza della Guardia nazionale americana decollato dalla base americana di Aviano. A bordo non c’erano persone ma “mezzo milione di tamponi per la rilevazione del Covid-19 prodotti da un’azienda di Brescia”, la Copan Italia Spa. “In quel periodo in Italia si registrava una grave carenza di tamponi e di reagenti di vitale importanza per arginare l’epidemia e per salvare le vite delle persone infettate”, denuncia l’avvocato Giancarlo Cipolla che per conto di Giovanna Muscetti, una manager milanese, ora sta cercando di vederci chiaro su eventuali ritardi ed omissioni nella lotta al coronavirus.

La carenza di tamponi e reagenti

Il 5 novembre scorso la procura generale di Brescia ha avocato a sé l’indagine sollevata da Cipolla che nei mesi precedenti era, però, già stata archiviata dai giudici di Cremona. Nel mirino c’è anche il volo del 16 marzo. “L’esportazione di così tanti tamponi – denuncia l’avvocato – è stata possibile anche grazie al fatto che per questa tipologia di prodotti non era prevista alcuna restrizione all’esportazione come invece accadeva per altri prodotti necessari alla prevenzione ed alla cura del Covid-19”. Va subito detto però che in quelle settimane la Copan aveva già distribuito in Italia oltre un milione di kit di prelievo. E se i test effettuati erano in numero inferiore, spiegava Lorenzo Fumagalli, il responsabile dell’ufficio legale dell’azienda bresciana, era perché “le forniture” erano “in quantità superiore alle capacità di svolgere gli esami nei laboratori italiani”. Sin dall’inizio dell’emergenza il commissario straordinario Domenico Arcuri si trova a dover affrontare un problema non da poco: ai primi di maggio è riuscito sì a mettere insieme 4 milioni di tamponi ma non i reagenti. “Appare evidente che 4 milioni di tamponi, senza reagenti, non risolvono le esigenze del Paese – fa notare Cipolla – e, comunque, se mai in Italia ci fossero stati reagenti a sufficienza, 4 milioni di tamponi servirebbero a testare appena il 7% della popolazione”. E questo senza considerare che, al tempo, ad ogni malato venivano destinati tre tamponi, uno per accertare il contagio e due successivi per verificare la guarigione.

Il mancato intervento del governo

L’11 maggio, quasi quattro mesi dopo l’esplosione dell’epidemia in Italia, Arcuri si decide a indire una gara per acquistare i reagenti. “In questa situazione emergenziale – riferisce Cipolla – appare incomprensibile che nessuno si sia avvalso della facoltà di esercitare il legittimo potere di requisizione di tutti i reagenti rinvenibili sul mercato nazionale”. Ma è troppo tardi. Chi come la Regione Veneto ha fatto da sola, è riuscito a uscirne in piedi. “Noi fin dall’inizio abbiamo fatto la scelta di non affidarsi a dei fornitori ma di fare noi la maggior parte dei reagenti…”, ha ammesso il professor Andrea Crisanti, padre del miracolo di Vo’ Euganeo. Tutti gli altri sono andati in difficoltà e l’intero sistema è letteralmente collassato. Viene, dunque, da chiedersi: perché quando il 31 gennaio il premier Giuseppe Conte delibera lo stato di emergenza, non presenta nel concreto le misure da mettere in atto per contrastare l’emergenza? Perché, come rivelato nel Libro nero del Coronavirus (clicca qui), ancora ai primi di aprile il ministro della Salute Roberto Speranza invita a limitarsi a eseguire il tampone solo a chi presenta una “infezione respiratoria acuta o grave che richieda il ricovero ospedaliero”? Perché attendere, appunto, fino all’11 maggio per decidersi a investire in tamponi e reagenti e, quindi, iniziare a tracciare la popolazione in modo più “massiccio”?

Le conseguenze sui malati

Cipolla chiede quindi di accertare se “la mancata esecuzione del tampone e, quindi, il mancato accertamento della malattia in tempi tempestivi e i ritardi nella prestazione della cura siano le cause” di molti decessi da coronavirus. A sostegno della propria tesi il legale ha portato i pareri di diversi medici secondo i quali uno stato febbrile che non viene curato correttamente per una decina di giorni, espone il malato alla formazione dei trombi. “La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare”, spiega il professor Sandro Giannini della clinica Rizzoli di Bologna. “Non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie – continua – se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve”. Il problema, infatti, non è respiratorio ma cardiovascolare. “Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità”. Un’evidenza che è diventata tale solo quando ci si è messi a fare, tardi e contro le norme in vigore, le autopsie sulle vittime del Covid. Il primo aprile il ministero della Salute le aveva infatti vietate con una circolare che impediva persino di eseguire il tampone orofaringeo per avere la conferma delle cause del decesso.

L’inchiesta di Brescia

Se i magistrati di Cremona non hanno ravvisato “condotte penalmente rilevanti”, derubricando i provvedimenti di Conte & Co. a “scelte politiche dettate dalla situazione emergenziale” pertanto “non idonee a configurare fatti di reato”, i magistrati della procura generale di Brescia non solo vogliono andare più a fondo ma già ipotizzano “determinate fattispecie criminose”. Si va dall’epidemia colposa all’omicidio colposo e lesioni colpose, fino ad arrivare poi all’abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. “Gli esposti in esame costituiscono una ‘notizia di reato’ – si legge nell’atto di avocazione firmato il 5 novembre dal procuratore generale Guido Rispoli e dal sostituto Rita Anna Emilia Caccamo – e non si limitano a proporre una indefinita ipotesi di reato”. Ora, trattandosi di atti e provvedimenti del presidente del Consiglio e del ministro della Salute, il fascicolo verrà trasmesso al tribunale dei ministri. E tra non molto sapremo se la magistratura potrà o meno portare Conte e Speranza alla sbarra.

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