Perché gli accordi sul vaccino tra l’Europa e Big Pharma sono segreti?

Non può esistere ambiguità sulla salute umana, specie in tempo di pandemia. Non può esistere di conseguenza alcuna recondita clausola di segretezza su forniture, tempistiche, costi quando si parla del Sacro Grall contemporaneo, dell’oggetto del contendere della più complessa partita di politica medica della storia moderna, il vaccino per il coronavirus. E per questo non possiamo non sottolineare il fatto che mantenendo la segretezza degli accordi firmati con le principali case farmaceutiche in corsa per produrre un vaccino efficiente contro il Covid-19 la Commissione europea stia creando un grave problema politico.

Gli accordi dell’Unione

Ad oggi, la Commissione di Ursula von der Leyen ha siglato quattro accordi per potersi accaparrare dosi dei futuri vaccini:

  • In base a un primo accordo firmato a fine agosto con la multinazionale britannico-svedese AstraZeneca gli Stati membri potranno acquistare 300 milioni di dosi del suo vaccino, con un’opzione per l’acquisto di ulteriori 100 milioni di dosi.
  • Un secondo contratto è stato firmato a metà settembre per garantire fino a 300 milioni di dosi del vaccino prodotto da Sanofi-Gsk.
  • L’8 ottobre è stata la volta di Johnson&Johnson, che ha firmato un patto per consegnare tra le 200 e le 400 milioni di dosi del suo vaccino.
  • L’11 novembre, dopo l’annuncio dell’avanzamento sul vaccino Pfizer-BioNTech, la Commissione europea ha firmato un quarto contratto con le due società farmaceutiche  per l’acquisto iniziale di 200 milioni di dosi di vaccino per conto di tutti gli Stati membri dell’Ue, più un’opzione di acquisto di fino ad altri 100 milioni di dosi, distribuibili proporzionalmente alla popolazione.

Un quinto accordo appare nell’aria dopo che Moderna ha parlato di un vaccino efficace al 94,5% nella terza fase di sperimentazione (contro il 90% annunciato da Pfizer) le autorità di Bruxelles hanno virato anche verso un accordo con questa casa. Palazzo Berlaymont, sede della commissione, ha spiegato di aver concluso un pre-accordo e “concordato con Moderna la fornitura di 160 milioni di dosi di vaccino”, da trasformare in “contratto” vero e proprio.

Parliamo di accordi che potranno potenzialmente garantire da 1,16 a 1,56 miliardi di dosi di vaccino, abbastanza per coprire l’intera popolazione europea e di garantire sia una riserva strategica per nuovi studi e adattamenti del siero sia una possibile copertura degli aiuti a Paesi in via di sviluppo o in crisi economica. Ma di nessuno di questi accordi c’è la possibilità di visionare i termini, le condizioni, i costi previsti e, nodo fondamentale, le modalità di produzione e distribuzione. Tutto resta nella più grande vaghezza, e questo crea un nodo politico fondamentale.

La Commissione non dà spiegazioni

Il Financial Times ha sollevato la questione sottolineando come, dati i livelli di spesa messi in campo dagli Stati, senza precedenti per un progetto medico (dall’investimento tedesco nel vaccino Pfizer all’alleanza globale lanciata dall’Oms) il vaccino dovrebbe essere un bene comune la cui distribuzione, che a sua volta comporterà spese miliardarie per i Paesi occidentali, dovrebbe avvenire nella massima trasparenza.

La Commissione europea sinora ha tentennato. La Von der Leyen non ha parlato in prima persona del motivo per cui i contratti con i colossi del farmaco sono stati mantenuti nella massima segretezza. Certo non può essere una semplice questione legata ai costi e al prezzo dei vaccini: sotto la pressione dell’opinione pubblica molte case hanno annunciato i costi delle singole dosi dei loro vaccini e dopo che il quotidiano della City di Londra ha segnalato che un trattamento in due dosi del vaccino Moderna potrebbe costare tra i 50 e i 60 dollari la casa statunitense ha annunciato in 37 dollari il prezzo definitivo.

“Dal punto di vista legale, la Commissione europea non può rivelare le informazioni contenute nei contratti”, ha dichiarato nell’ultima audizione al Parlamento europeo, tentennando, la Commissaria alla Salute, la cipriota Stella Kyriakides, incalzata dal deputato francese macroniano Pascal Canfin e dalla Verde tedesca Jutta Paulus, che hanno avvertito del profondo senso di sfiducia che la scelta della Commissione può generare in un’opinione pubblica già soggetta a fenomeni di infodemia e all’ascesa di sospetti e complotti. Oltre che una crisi istituzionale di ampio respiro: il Parlamento europeo, che ha visto sforbiciati miliardi di euro di investimenti in ricerca e scienza nei nuovi budget europei pluriennali, non ha nemmeno accesso agli atti dei contratti, come ha dichiarato l’eurodeputato leghista Marco Zanni a StartMagazine. Una cosa è certa: sono gli interessi commerciali delle aziende in campo la causa della segretezza.

Illazioni? Tutt’altro. Per dimostrarlo basta leggere quanto scritto nella risposta inviata dall’italiana Sandra Gallina, direttore generale della direzione generale Salute e sicurezza alimentare, al quotidiano La Verità, che chiedeva lumi sugli accordi per l’arrivo dei vaccini AstraZeneca: “I documenti che contengono informazioni commerciali sensibili, la cui diffusione al pubblico potrebbe compromettere la protezione dei legittimi interessi delle aziende, sono coperte dalla protezione degli interessi commerciali”.

La grande scommessa

Sgombriamo il tavolo della questione dei prezzi: nessuna casa farmaceutica, in un contesto tanto competitivo, rischierebbe lo schianto di fronte all’opinione pubblica ponendo in essere un’operazione di speculazione per lucrare corposi guadagni nel contesto della pandemia più dura del secolo. Il punto sembra essere diverso. Possiamo delineare due scenari, non mutualmente escludibili, che possono esistere in contemporanea che appaiono giustificazioni credibili delle clausole di segretezza addotte dall’Unione Europea.

Il primo nodo è quello dell’effettiva sicurezza dei vaccini. Come cittadini non possiamo fare a meno di aspettare l’arrivo di un vaccino pienamente funzionante contro il Covid-19, ma fino ad ora non si può fare a meno di sottolineare come buona parte degli annunci siano arrivati sulla base di dichiarazioni a mezzo stampa delle principali case farmaceutiche o degli istituti nazionali di sanità. Ovvero parti in causa legittimamente interessate a porsi in vantaggio nella corsa al “bene pubblico globale” per eccellenza. Manca per ora, però, il contraltare decisivo: una massiccia quantità di pubblicazioni scientifiche sulle più prestigiose riviste mediche (una su tutte: The Lancet) circa i risultati delle sperimentazioni in “fase tre”. Pubblicazioni che, è bene sottolinearlo, hanno dato corpose conferme della bontà delle ricerche nel contesto delle prime due frasi. Ma proprio The Lancetin un recente pubblicazione sul vaccino cinese Sinovac, invita a guardare la questione organicamente e a valutare l’implementazione dei vaccini e i risultati delle prime due fasi con la considerazione ex post legata ai risultati della fase 3.

Le compagnie di ricerca potrebbero dunque temere di esporsi alla concorrenza nel caso dovessero ammettere che le pubblicazioni in materia, ad ora, non sono previste in tempi ragionevoli con gli annunci che parlano di vaccini pronti alla produzione in massa entro l’inizio del 2021. Fatto che sarebbe del resto coerente con i tempi lunghi richiesti dalla ricerca medica. E la Commissione europea temerebbe un analogo effetto stigma nel caso venisse certificato l’acquisto di dosi massicce di vaccino senza la finale certificazione scientifica che ci auguriamo possa arrivare in tempi brevi.

Ma i tempi impongono un’altra notevole riflessione: quella della durata del processo di produzione e distribuzione dei vaccini. Che si preannuncia complesso e macchinoso. Nella sua “annuncite”, la Commissione, analogamente alle singole autorità nazionali europee, si è ripromessa di fornire in tempi brevi centinaia di milioni di dosi. Ma i vaccini vanno prodotti, stoccati, conservati e trasportati capillarmente, la sfida industriale e logistcia è senza precedenti: e il nodo delle tempistiche potrebbe dunque mettere in imbarazzo i proclami fatti in questi mesi. I tempi e le cautele del metodo scientifico mal si conciliano con la caducità dei cicli politici e con la volontà di un pronto ritorno alla normalità da parte di Paesi che sul vaccino hanno scommesso il pronto ritorno al business as usual dopo la pandemia.

Il vaccino, in questo contesto, potrebbe essere paragonato a un prodotto finanziario ben definito, un future. E contratti futures appaiono i contratti siglati dalla Commissione per i vaccini: acquistare futures significa impegnarsi ad acquistare alla scadenza ed al prezzo prefissati l’attività sottostante su cui il titolo è denominato, in genere una materia prima. Chiaramente, l’acquirente spera che il prodotto aumenti di valore nel frattempo (leggasi: che il vaccino sia pronto all’uso) per avere un guadagno netto. Finchè non vedremo i contratti, le pubblicazioni o le strategie europee e nazionali per la distribuzione dei vaccini nella corsa all’immunità contro il Covid-19 potremo solo dire che la Commissione ha lanciato una grande scommessa. Che si spera vincente nel lungo periodo: ma la segretezza degli accordi mina questa fiducia di fondo in una fase in cui alle opinioni pubbliche e ai sistemi politici andrebbe lanciato un messaggio positivo.

il giornale.it

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