I nostri Titoli di Stato vanno a ruba. Non dobbiamo mettere la testa nel cappio Ue

I Titoli di Stato italiani non sono mai andati così bene sui mercati. Nonostante la pandemia, nonostante il paventato rischio di una nuova serrata, nonostante il Pil destinato con buone probabilità a toccare il segno meno in doppia cifra. Un successo senza precedenti quello delle nostre emissioni di debito pubblico, trainate dall’iperattivismo della Bce. Dimostrando, casomai ve ne fosse ancora bisogno, che l’Italia non ha alcuna necessità di chiedere l’elemosina a Bruxelles.

Bot a tasso negativo da giugno

Partiamo dai Bot, i Buoni ordinari del Tesoro. Collocati all’inizio (per il taglio da 12 mesi) e alla fine (per il taglio da 6) di ogni mese, al termine di una costante discesa a giugno sono finiti in territorio negativo. Dopo l’asta per l’annuale, chiusa a 0,014%, il semestrale ha infatti staccato un rendimento medio ponderato del -0,224%.

La tendenza si è consolidata – scendendo ancora di più nei rendimenti ed estendendosi anche al Bot a 12 mesi – nelle settimane seguenti. Da quel fatidico 26 giugno, infatti, il ministero dell’Economia ha inanellato ben 7 aste consecutive strappando un tasso negativo per il più noto dei nostri Titoli di Stato. In attesa del prossimo collocamento del semestrale (previsto fra due giorni), le ultime emissioni parlano di un tasso del -0,225% per l’annuale e addirittura del -0,392% per il titolo a 6 mesi.

Titoli di Stato: Btp al minimo storico

Se il Bot stappa lo spumante, anche i Titoli di Stato su scadenze ben più lunghe hanno di che festeggiare. Le danze sono partite a maggio, quando l’emissione speciale di Btp Italia si è chiusa ben oltre le più rosee aspettative: record di domanda e di ordini, su livelli mai toccati in precedenza.

Il ballo è poi seguito con le altre tipologie “ordinarie” di Btp, con il triennale allo 0,07%, il quinquennale allo 0,35% e quello a 7 anni allo 0,75%. Il vero “botto” l’ha però fatto il Btp decennale, che nell’asta del 29/30 settembre ha strappato lo 0,89% (quotava a 0,96 un anno fa), per poi scendere sul mercato secondario al di sotto dello 0,80%: il minimo storico. Volendo allargare il periodo temporale potremmo anche parlare del Btp a 30 anni, che nell’asta del 13 agosto è stato collocato all’1,91%, 10 punti base in meno rispetto ad analoga asta dell’anno scorso. Senza poi considerare che in tutte queste aste la domanda è sempre stata superiore all’offerta, con rapporti di copertura arrivati a sfiorare quota 1,6.

Risultato? Un risparmio nella spesa per interessi pari a quasi 4 miliardi di euro, come appena certificato dalla Ragioneria Generale dello Stato.

Nessun bisogno di chiedere l’elemosina all’Ue

La straordinaria vitalità del mercato dei nostri Titoli di Stato dimostra incontrovertibilmente, per ogni strumento e pressoché su tutte le scadenze, che l’Italia non ha perso l’accesso ai mercati. Né rischia, sul breve termine, di perderlo.

Circostanza quest’ultima non indifferente, dato che permetterebbe al ministero dell’Economia di reperire risorse a costi mai così bassi. Potendo in questo modo schivare la greppia dei sedicenti “aiuti” dell’Unione Europea, si chiamino Mes o Recovery Fund. Due strumenti che portano con sé condizionalità – implicite o esplicite – da cappio al collo, inesistenti invece se parliamo di emissioni di Titoli di Stato. A meno che l’obiettivo – e il “braccino corto” di Gualtieri sembra deporre proprio a favore dell’ipotesi – non sia dichiaratamente un altro.

Filippo Burla

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