“Giuseppe Conte pronto a tutto per i migranti, ma se ne frega dei pescatori italiani sequestrati in Libia”

Otto pescatori siciliani sono nelle carceri libiche da circa un mese nell’indifferenza dell’opinione pubblica e nell’indolenza del governo, che si occupa della sorte di questi cittadini con la medesima lena con cui si sta cimentando nella scrittura del piano per risollevare l’Italia grazie ai fondi Ue: calma e gesso. I soldati di Haftar li hanno catturati mentre pescavano nelle acque territoriali della Cirenaica, che già Gheddafi estese di un paio di centinaia di chilometri oltre quanto previsto dai trattati internazionali. Per liberarli, il generale libico ha chiesto che l’Italia gli consegni quattro terroristi specializzati nel traffico di essere umani reclusi nelle nostre galere con una condanna di trent’ anni sulle spalle.

Uno scambio piuttosto stravagante, al quale in cuor suo non crede neppure il provvisorio capo della Cirenaica. Le famiglie dei poveretti picchettano Palazzo Chigi per ottenere udienza, il premier è sceso a incontrarle, facendo dono della propria presenza, ma non è andato oltre. Come sempre, quando non è in grado di risolvere un problema, Conte tende al basso profilo e a scaricare su altri la patata bollente. Invece per sbloccare la situazione servirebbe proprio quell’intervento dall’alto che l’avvocato Giuseppe sta facendo mancare. Almeno questo è quanto lasciano filtrare le nostre istituzioni che si stanno occupando della vicenda. Pare che abbiamo mosso chiunque per liberare i pescatori, dai servizi segreti, all’Unione Europea, agli Stati Uniti. Solo il premier esita a calare il suo carico, che però sarebbe decisivo. Se davvero egli ha le relazioni internazionali che vanta, sarebbe opportuno le mettesse sul tavolo al più presto.

VICENDA ANNOSA
La storia dei pescatori di Mazara che sconfinano e vengono fatti prigionieri è quarantennale. Un tempo occupava le prime pagine dei giornali di diritto e si risolveva sempre con un lieto fine.

Oggi si tende a tenerla sotto traccia e per venirne a capo dobbiamo scomodare mezzo mondo. Segnale inequivocabile di quanto sono calate le nostre quotazioni a livello diplomatico e di quanto poco contiamo ormai nel Mediterraneo, quello che fu il Mare Nostrum e che ora è conteso tra Erdogan e Putin. Questo è lo scenario dell’intricata vicenda, che ci suggerisce le seguenti considerazioni a margine. Il nostro governo ha a cuore la sorte dei pescatori siciliani meno di quella dei clandestini, che si industria di far uscire dai centri di raccolta libici con maggior successo di quanto non abbia fatto finora con i nostri marinai.

Se un peschereccio italiano entra in acque libiche, viene sequestrato dalle autorità locali mentre se ci vanno le navi delle organizzazioni umanitarie per dare una mano agli scafisti e non fargli fare tutto il viaggio fino alle coste siciliane, per le autorità di Tripoli o Bengasi va tutto bene. Siamo diventati degli specialisti nel liberare volontarie italiane andate in Africa in cerca di loro stesse e tornate convertite ad Allah ma quando si tratta di riscattare i nostri lavoratori facciamo fatica a mettere mano alla borsa. La cosa più grave tuttavia è che, da quando la Lega non è più al governo, ormai va bene anche per le autorità di Roma. A livello internazionale siamo diventati una Cenerentola, per non dire una barzelletta, costretti a pietire l’aiuto di Paesi stranieri per risolvere situazioni dalle quali un tempo saremmo venuti fuori da soli.

LA CARTA MINNITI
Infine, ma soprattutto, se il destino degli otto pescatori siciliani è nelle mani di Dio e non degli uomini, tanto meno del governo italiano, è perché i governi Conte, uno e due, in Libia si sono comportati da dilettanti, barcamenandosi senza costrutto fra Serraj e Haftar. Per mantenere buoni rapporti con il capo della Cirenaica abbiamo chiesto perfino l’intercessione dell’Egitto, sacrificando in cambio ogni speranza di ottenere chiarezza da Al Sisi sul caso Regeni, ma ci siamo giocati tutto, consentendone l’esclusione dal nuovo trattato di pace in Libia, sottoscritto da Serraj e Aguila Saleh, che di Haftar era una sorta di luogotenente. Il risultato è che oggi il generale libico è un uomo con le spalle al muro e assetato di rivalsa.

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