Lockdown e psicosi: per paura rinunciamo alla vita?

Abbiamo assistito, nel corso dei mesi passati, a scene singolari per la propria rarità e stranezza, derivanti dall’emergenza sanitaria. Durante il lockdown, con cadenza giornaliera, persone di varie età sono state multate per le motivazioni più stravaganti: corridori solitari, intenti a correre su una spiaggia, venivano rincorsi da droni o da poliziotti in persona. Ancor più penose e gravi le immagini di anziani, desiderosi magari di una camminata al parco, che venivano minacciati ed a cui veniva di tornare nelle proprie abitazioni, in virtù delle assurde regole delineate dal governo. Scene che fino ad un anno fa apparivano trama per un film fantasy, sono poi diventate prassi della squallida vita che portiamo avanti da mesi. Una prassi che oramai sembra non sconvolgere tanta gente.

Lockdown psichico

Spinge a riflettere che, in funzione di una prevenzione sanitaria, si sia lucidamente attuato l’annullamento della socialità, della condivisione di spazi, di momenti di vita che per l’essere umano hanno un peso psicologico non indifferente. Interfacciarsi con il prossimo, discutere e frequentare ambienti pubblici può apparire dettaglio: in realtà rappresenta modello di sviluppo e cura della persona, in particolare per le fasce d’età infantili.

I dati sulla mortalità e sul ricovero da coronavirus per i bambini ed i giovani sono vicini all’inesistenza. Siamo invece convinti che per loro misure come la quarantena prolungata per mesi, o la chiusura dei locali, siano state davvero dannose, con l’aggravante dell’accusa o dell’indifferenza generale. Risposte a queste perplessità possono trovarsi nell’analisi della società nostrana: pur senza disporre di profonde conoscenze sociologiche, è possibile riscontrare 20. Una perseveranza nel non scegliere, attraverso l’estenuante rimandare le decisioni, attraverso scaricabarile e scusanti, metodo attuativo di cui l’attuale premier in carica è esempio calzante.

Ma la libertà non è un premio

Non a caso nel corso dell’emergenza il suo gradimento è sembrato crescere notevolmente: una sorta di ringraziamento del popolo per l’avallare delle paure. Ben venga per gli ammiratori del regime orwelliano che ci attanaglia il culto del terrore, attuato tramite rimprovero e minaccia. La concessione di libertà è considerata premio. Poter rivedere un parente o un amico, portare il figlio al cinema o a scuola, tornare a lavorare non è più saldo diritto inalienabile, bensì una possibilità da conquistare con l’obbedienza e l’approvazione.

Oltre a prendersela con la politica attuatrice di queste follie, vi è da attuare profonda autocritica: quando la società procede col fossilizzarsi, con la delegazione agli altri della propria vita, non vi è da sorprendersi per la perdita della bussola quando scoppia la tempesta. Si finisce così per oltrepassare il filo tra una prevenzione verso un pericolo, ed il trasformare la vita in tempo che scorre. Qualcosa che si è costretti ad attraversare ma che non vale la pena di vivere. Ed ancor più drammatico è proseguire questo cammino con il sorriso, o in questo caso con la mascherina, sulla faccia.

Tommaso Alessandro De Filippo

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