Guido Crosetto pessimista sul futuro dell’Italia: “Giuseppe Conte ci farà fallire, siamo all’ultima chiamata”

L’immagine simbolo di Fratelli d’Italia è il “gigante buono” Guido Crosetto che prende in braccio e lancia in aria la “piccola” (si fa per dire) Giorgia Meloni all’auditorium della Conciliazione di Roma a dicembre 2012. Quella coppia, che insieme a Ignazio La Russa ha fondato il movimento, sta facendo una grande strada: lui si è dimesso dalla Camera, è tornato a fare l’imprenditore ma resta sempre al suo fianco, lei vola nei sondaggi, lo considera un fratello e lo definisce la sua “custodia”. Sono una coppia che non ha precedenti nella politica, forse perché ciò che li unisce è l’amicizia. Oggi la partita importante per Fdi si gioca soprattutto nelle Marche e in Puglia.


Cosa ha significato l’arrivo di Raffaele Fitto in FdI e che messaggio ha trasmesso all’interno del centrodestra?
«L’ingresso, ormai consolidato, di Raffaele Fitto in Fratelli d’Italia andava proprio nella direzione che da sempre Giorgia Meloni si è data di allargare i confini del partito, di rappresentare non solo la destra ma andare oltre. I risultati che sta avendo la pongono al di là di quelli che anche la destra di Gianfranco Fini aveva raggiunto, nonostante Giorgia, coerentemente, non abbia mai fatto nessuna concessione al “mainstream” mentre la crescita di Fini passò attraverso diversi momenti di prese di distanza dalla propria storia anche personale».

Si può parlare di centrodestra unito o, come appare, tra i tre partiti che lo compongono c’è incomunicabilità?
«Di certo i sistemi elettorali non rendono compatte le alleanze perché ogni partito è incentivato a prendersi i suoi voti, sia a destra che a sinistra, e ognuno è concorrente dell’altro. In alcune regioni più che in altre, come la Puglia appunto, si è cercato di superare gli ostacoli e di andare su terreni comuni del centrodestra ma qualche difficoltà ancora permane. Sicuramente dove ci sono figure più carismatiche è più facile tenere compatta l’alleanza».

Come sono i rapporti di Fratelli d’Italia con l’Europa?
«L’ingresso nella grande famiglia dei Conservatori e Riformisti Europei ha aperto un’autostrada a FdI che è diventato il partito con più possibilità di interazione, comunicazione ed anche confronto duro, con l’Ue. In questo Raffaele Fitto e Carlo Fidanza, da europarlamentari, hanno svolto un ruolo importante».

A novembre ci saranno le elezioni americane, come influiscono sull’Europa e sul nostro Paese?
«In Italia si cerca sempre di dare una lettura interna a ciò che succede all’estero mentre io credo che non cambierà nulla. I rapporti fra Italia e Usa sono stati, sono e saranno sempre forti. Se mai con le diverse amministrazioni cambia l’atteggiamento del presidente Usa nei confronti dell’Italia: Obama non ha considerato più di tanto il nostro Paese, nonostante il buon rapporto con Renzi. Così come Trump non ha un rapporto particolare con nessuno, ma nella fase iniziale del Covid ha offerto all’Italia un piano di aiuti di alto valore che noi abbiamo disdegnato».

La Federal Reserve americana a fine agosto ha spiazzato tutti con le sue decisioni di politica monetaria. Come reagirà la Bce?
«L’intelligenza è quella cosa che, quando tutto intorno a te cambia, ti fa mettere in discussione ciò che hai sempre sostenuto, ma non è una dote dei tedeschi. Siccome sulla Bce è fortissima l’influenza della Germania e l’inflazione sta ai tedeschi come la mamma agli italiani, sarà difficile che la Bce superi il tabù del 2% messo in discussione dalla Fed».

Dopo regionali e referendum, si avvicinano Legge di bilancio e Recovery Plan. Come vede politica e economia?
«Lo scenario politico non mi preoccupa, nel senso che sono preoccupatissimo da quello economico, nei prossimi mesi ci giochiamo il futuro dei prossimi trent’ anni. Se il governo sbaglia le scelte di oggi, saremo chiamati a pagarle per decenni».

Dice Conte che a quel punto sarà giusto mandarlo a casa…
«Con quella frase pone la questione in modo sbagliato. Il tema non è chi lo sostituisce politicamente ma che chiunque vada al suo posto non potrà porre rimedio a errori così gravi. La crisi che già stavamo vivendo, più il virus, pongono l’Italia nelle condizioni di non rialzarsi più. L’arretratezza del contesto esterno, cioè fuori dai cancelli delle fabbriche, nelle quali le aziende sono costrette a vivere stando in Italia, ci mette nella difficoltà di essere all’ultima chiamata».

Cosa, più di tutto, non funziona?
«L’Italia è il Paese meno positivo al mondo per chi fa impresa o ha un’attività privata. Mi riferisco a burocrazia, fisco, sindacati, giustizia, infrastrutture. Le aziende italiane continuano a perdere competitività per colpa dello Stato. Anche le aziende migliori, quelle leader di settore o leader nel mondo, risentono della negatività dell’ambiente esterno. Hanno retto alle peggiori crisi; ci hanno reso un Paese esportatore nonostante non avessimo materie prime ma per la capacità creativa, l’intelligenza, il design; hanno costruito la forza industriale e la ricchezza dell’Italia, ma anche queste eccellenze oggi non ce la fanno più».

Un quadro drammatico…
«Quel che è grave è che questo accade nella totale inconsapevolezza generale. Nessuno ha mai chiesto alla politica di risolvere il problema ma si sono sempre cercate scorciatoie per evitare i danni che la politica stava creando. Non so se questa Italia abbia ancora la possibilità di trasformarsi per essere competitiva ma quel che è certo è che è l’ultima chiamata».

E pensare che, quando non sa come agire, questo governo propone l’intervento dello Stato.
«Ci sono settori in cui momentaneamente lo Stato deve entrare perché non può permettersi di perderli, si pensi a quanto hanno fatto gli Usa nel 2008 per salvare banche e auto, ma bisogna avere un piano definito, l’ottica non deve essere quella di statalizzare le imprese per farle gestire dai propri amici e poi pagarne i fallimenti con i soldi di tutti. Il dramma è che in un momento in cui avremmo avuto bisogno di una mentalità innovativa abbiamo avuto la decrescita felice».

Com’ è la vita da non parlamentare, si sta meglio o peggio?
«Io sto uguale! Considero l’essere stato in Parlamento un privilegio, non per i soldi ma perché servire il proprio Paese è un onore. Non deve essere un’occasione di realizzazione personale ma la via per fare qualcosa di buono per la comunità. Mentre oggi l’impressione è che il Parlamento stia diventando il luogo in cui persone elette dai cittadini certificano decisioni prese da burocrati: solo se hai preparazione e competenze puoi “gestire” la burocrazia».

Mi spieghi…
«Esempio: nel decreto “Semplificazioni”, dove la volontà sbraitata del governo era di sburocratizzare, all’articolo 80 hanno previsto che chi ha un contenzioso con una qualsiasi amministrazione dello Stato non può partecipare ad appalti pubblici. Cioè, lo Stato come aiuta un’azienda che, magari a causa del Covid, non ha versato i contributi? Impedendogli di lavorare. O paga per chiudere il contenzioso anche se ha ragione oppure non lavora. E non mi faccia aprire il capitolo giustizia! Fare impresa in Italia è da pazzi».

Cosa pensa del blocco dei licenziamenti?
«È come agitare la Coca non una, ma venti volte prima di aprirla. L’esplosione sarà fortissima. Il dramma è l’incapacità del sindacato italiano anche solo di capire. Bisognerebbe rafforzare le possibilità delle aziende di assumere persone, costruire in qualunque modo una nuova domanda di lavoro, cambiando le regole attuali, togliendo qualsiasi impedimento per i prossimi uno-due anni, aprire qualunque rubinetto per far confluire investimenti in Italia uscendo da quei quattro schemi classici che chi governa oggi ha nella testa».

Su Twitter lei è sempre più un mattatore dei talk show televisivi…
«Da libero cittadino quando vedo qualcosa che mi fa arrabbiare lo dico. Esprimo le mie idee. Anche perché sono multi-tasking: la sera con una mano gioco a burraco o a scacchi, con un occhio guardo la tv e con l’altra mano scrivo su Twitter»

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