Da oggi cambia l’uso del cash Tutto quello che c’è da sapere

Ci siamo. È il primo luglio. E, come ampiamente anticipato, scatta la riduzione del tetto del contante. Per il governo è il modo migliore con cui combattere l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco.

Quel traffico di droga o vendita di armi (solo alcuni esempi), pane per i nostri criminali. Ma, in quest’articolo, vedremo perché l’uso della carta di credito in realtà farà grossi danni all’economia, lasciando intatti, per altro, i loschi affari delle mafie. Andiamo con ordine. Partiamo con un po’ di storia.

Il primo limite all’utilizzo dei contanti in Italia risale ai primi anni Novanta. L’euro è ancora un progetto ambizioso dell’Ue. In Italia si paga in lire. È il 1991 quando Giulio Andreotti vieta il trasferimento del denaro contante e dei titoli al portatore superiori a 20 milioni. Con il passaggio alla moneta unica, il limite dell’utilizzo dei contanti viene fissato a 10.329 euro. Da questo momento in poi i governi che si alternano mettono periodicamente mano alle soglie. Nel 2011, Mario Monti, con il decreto Salva Italia, stabilisce la somma limite per il pagamento in contanti a mille euro. Cifra molto bassa. Questa soglia rimane in vigore fino al 2016, quando il governo Renzi alza nuovamente il tetto dei pagamenti a 3mila euro. Provvedimento in vigore fino ad oggi.

Il limite

Da oggi, primo luglio 2020, le cose cambiano ancora. Il contante cala da 3mila a 2mila euro. Per l’esattezza le soglie sono rispettivamente 2.999,99 euro e 1.999,99 euro. A gennaio 2022 si scenderà ulteriormente a mille euro (999,99 euro). La norma è stata introdotta con la manovra sui conti pubblici per il 2020 (decreto legge fiscale 124/2019 convertito in legge 157/2019). Per i pagamenti di importo maggiore diventa obbligatorio l’utilizzo di bonifici, strumenti digitali e denaro di plastica (carte di credito e bancomat).

Le sanzioni partono da 3mila euro e arrivano fino a 50mila per una singola operazione, secondo la gravità dell’infrazione. Ma le novità, o meglio, le cattive notizie, non finiscono qui. Già, perché dietro l’angolo si nascondono dettagli burocratici su cui vale la pena soffermarsi. E che contribuiranno a ingabbiare il mercato italiano.

Non esistono limiti specifici per quanto riguarda la movimentazione di denaro in banca, sia per prelievi sia per versamenti, perché non configurano un cosiddetto trasferimento tra soggetti diversi. Tuttavia, i conti correnti sono soggetti a controlli da parte dell’Agenzia delle entrate che ha accesso a tutti i dati bancari per accertamenti di natura tributaria. Stesso discorso per le verifiche da parte dell’Unità di informazione finanziaria (l’Uif) della Banca d’Italia, per quanto riguarda le norme sull’antiriciclaggio.

L’antiriciclaggio

In questo caso l’operatore bancario può segnalare operazioni sospette in relazione a movimentazioni consistenti di contanti. L’operatore potrebbe richiedere le motivazioni che hanno indotto al prelievo o l’origine di fondi oggetto di versamento (ad esempio nel momento in cui il denaro movimentato si discosta di molto dall’operatività abituale del cliente o da quanto indicato nelle dichiarazioni dei redditi). Il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche non eccedenti la soglia normativa, e nello specifico, il prelievo o il versamento in contante di importi non coerenti con il profilo di rischio e l’attività del cliente, può costituire elemento di sospetto.

Da lunedì 2 settembre 2019 era già partito il nuovo meccanismo di controllo dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, che era stato introdotto e lasciato fermo ai box da una legge del 2017 volta al contrasto del riciclaggio di denaro sporco e frutto di evasione fiscale. Dallo scorso anno, sotto la lente dell’Uif (antiriciclaggio) finisce automaticamente chi movimenta contanti, tra prelievi e versamenti, oltre 10mila euro in un mese anche con più operazioni di importo minore, ma comunque superiore a mille euro. Banche e Poste devono segnalare queste situazioni con la nuova “comunicazione oggettiva” che viene effettuata ogni mese, obbligatoriamente, ma non equivale a una “segnalazione di operazione sospetta”. Servirà, tuttavia, ad accendere un faro su eventuali anomalie, soprattutto se ripetute.

Il nero continua

Qui i nodi vengono al pettine. Secondo Unimpresa, “i tetti imposti per legge mirano a rendere la vita complicata per chi paga cash. Ma fino a importi non rilevanti – alcune migliaia di euro – il nero potrà continuare ad avere gioco facile rispetto ai controlli”. Tutto, insomma, dipende dalla capacità di spesa e dalle esigenze di chi incassa il contante. Senza dimenticare la possibilità di frazionare formalmente i pagamenti con multipli delle soglie introdotte (10mila euro possono essere divisi in 5 rate da 2mila), né il fatto che chi ha incassato illecitamente denaro contante può a sua volta continuare a pagare senza alcuna tracciabilità, facendo leva anche su motivazioni fiscali del destinatario.

Le nuove soglie saranno facilmente aggirate con il risultato che il gettito fiscale non subirà vantaggi particolari, ma i consumi potrebbero subire una stretta anche per motivi di tipo psicologico. “È il momento peggiore per introdurre tetti al contante: con la peggiore crisi degli ultimi decenni da affrontare, tutte gli sforzi vanno indirizzati per favorire e stimolare la spesa e non per fiaccare gli acquisti delle famiglie”, è il commento del presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

Il commercio e la lotta alle mafie

La limitazione al contante colpirà alcuni comparti fondamentali della nostra economia, in primis l’agricoltura. Gli incassi di questi lavoratori avvengono in contante, come da tradizione, soprattutto nelle regioni del Sud. Imporre modalità diverse significherebbe caricare di costi inutili i commercianti. Gestire le carte di credito costa e questi costi, giustamente, non sono azzerabili. Ogni transazione con il Pos passa per una rete gestita da società, peraltro anche italiane, che tenderebbero a fallire con commissioni irrisorie.

C’è poi un altro interrogativo che vale la pena esplicitare. Come pagare le giornate di lavoro ai poveri migranti che si vuole regolarizzare? Questi hanno bisogno di cash per comprarsi da mangiare in quel supermercato che farà loro lo scontrino. Non potrebbero permettersi una carta di credito che nessuna banca, peraltro, potrà consegnare a chi non può nemmeno aprire un conto corrente.

La cultura del sospetto pervade il fisco italiano. Le imprese sono vessate da controlli che non toccano minimamente le attività mafiose. “Queste non hanno contanti sui conti correnti, tranne che, ovviamente, non svolgano attività che ne richiedano utilizzo. Per questo acquisiscono ristoranti e supermercati: per smistare denaro da ripulire. Le mafie pagano le tasse, questa è la verità. E quel denaro magari riciclato, una volta tassato, si legittima. Per la gioia delle associazioni criminali. Ecco perché il vero riciclaggio non verrebbe intaccato dalla riduzione del tetto del contante”, spiega in un suo recente scritto il professor Ranieri Razzante, docente di Intermediazione finanziaria e legislazione antiriciclaggio presso l’Università di Bologna.

Per concludere, un richiamo alla Bce. La Banca centrale europea ha ricordato all’Italia più volte che la moneta serve a includere nel settore dei consumi una fascia di popolazione che altrimenti non lo sarebbe. Il che la dice lunga sulla valenza di questa misura. Poi c’è da dire una cosa, concetto paradossale: le mafie sono già assai inserite nel tessuto economico. Qualsiasi siano gli strumenti di pagamento che il mercato offra loro. Le infiltrazioni nell’economia sono evidenti. Tutte imprese gestite da persone insospettabili che, magari, pagano anche con bonifici internazionali (guarda caso tracciabili).

il giornale.it

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