Altro che immigrati nei campi. Coldiretti: “Possiamo dare lavoro a 200mila italiani”

Roma, 18 giu – Nei campi siamo costretti a impiegare lavoratori stranieri? Neanche per sogno, con buona pace del ministro Bellanova e di chi ripete a pappagallo il nauseante ritornello sui “lavori che gli italiani non vogliono più fare”. Come evidenziato oggi dalla Coldiretti “l’esperienza dell’emergenza coronavirus ha dimostrato che con una adeguata formazione e semplificazione l’agricoltura nazionale può offrire agli italiani in difficoltà, almeno 200mila posti di lavoro che oggi sono affidati necessariamente a lavoratori stranieri stagionali che ogni anno attraversano le frontiere per poi tornare nel proprio Paese”. E’ la riflessione cristallina di Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, in occasione della convocazione del premier Conte per gli Stati Generali.

Il lavoro che gli italiani vogliono fare

“Dopo essere stato snobbato per decenni – precisa Prandini – si registra un crescente interesse degli italiani per il lavoro nelle campagne anche per la situazione di difficoltà in cui si trovano altri settori economici. Un segnale positivo importante per il comparto che tuttavia si scontra con la mancanza di formazione e professionalità che è necessaria anche per le attività agricole soprattutto per chi viene da esperienze completamente diverse”. Analisi inappuntabile e messaggio chiaro. La Coldiretti fa notare senza troppi giri di parole che di fronte alla crisi economica, con un tasso di disoccupazione sempre più drammatico e con centinaia di migliaia di giovani italiani in cerca di lavoro, è del tutto assurdo pensare di ricorrere alla manodopera straniera nei campi.

Piano per la formazione

La pensata del ministro delle Politiche Agricoli è facilmente stroncabile basandosi quindi sui dati reali, a prescindere dalle motivazioni di natura meramente ideologica che spingono il governo in una direzione folle. La maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, fa notare in ogni caso che l’assunzione di italiani è “una opportunità che deve essere accompagnata da un piano per la formazione professionale e misure per la semplificazione ed il contenimento del costo del lavoro” e che “la cancellazione per quest’anno dei versamenti contributivi dell’imprenditore agricolo e dei propri dipendenti nei settori maggiormente colpiti rappresenta una boccata di ossigeno indispensabile per sostenere competitività ed occupazione nelle campagne”. E’ chiaro d’altronde che anche per lavorare nel settore agricolo serva un’adeguata formazione e gli imprenditori debbano poter sostenere i costi delle assunzioni. Ma tutto questo è assolutamente alla portata, basta volerlo anziché guardare ai braccianti stranieri.

Voucher e riduzione della burocrazia

“Serve anche una radicale semplificazione del voucher ‘agricolo’ – spiega Prandini – che possa ridurre la burocrazia e consentire anche a percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne in un momento in cui tanti lavoratori sono in cassa integrazione e le fasce più deboli della popolazione sono in difficoltà”. Non solo “in un momento difficile per l’economia – dice ancora il presidente di Coldiretti – dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti per combattere la concorrenza sleale al Made in Italy”.

Altro che regolarizzazione degli immigrati irregolari dunque, serve un piano serio per agevolare l’impiego di italiani in cerca di lavoro anche stagionale. E su come farlo le associazioni di categoria di idee ne hanno eccome, basterebbe consultarle. Non si tratta poi di condividere in toto le modalità indicate da Prandini, è però quantomeno necessario prenderle in considerazione. Non è peraltro la prima volta che Coldiretti chiede al governo di dare lavoro agli italiani e le nuove richieste sono in linea con il progetto Job in Country lanciato dalla stessa associazione di categoria.

Alessandro Della Guglia

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