La verità sulle autopsie “sconsigliate”: l’errore nella circolare del ministero

“Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19”.

A stabilirlo è una circolare del Ministero della Salute, pubblicata a maggio, che sconsiglia di fare esami post mortem ai deceduti per Covid-19. Di fatto, il documento non impone nessun divieto, ma carica di responsabilità chi decide di procedere all’autopsia, in caso di contagio.

È il “lockdown della scienza”, secondo un gruppo di medici legali che ha pubblicato un articolo sul Journal of clinical medicine in cui sottolineano che “la mancanza di indagini post mortem non ha permesso una definizione della causa esatta del decesso, utile per determinare i percorsi di questa infezione”.

Ma a testimoniare l’importanza delle autopsie, nel quadro dell’emergenza da nuovo coronavirus, sono anche le parole del medico Andrea Gianatti, responsabile dell’Anatomia patologica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che alla Nazione ha spiegato come gli esami post mortem abbiano portato alla cura. “In seguito all’esplosione della pandemia ci siamo resi conto che mancava qualche tassello- ha detto il dottor Gianatti-Ai primi di marzo si è deciso di studiare l’anatomia patologica, confrontandosi poi in riunioni collegiali tra specialisti di tutte le estrazioni durante il picco tra marzo e aprile”. Le autopsie hanno mostrato che “l’organo maggiormente coinvolto è il polmone, proprio perché il virus, per caratteristiche biologiche sue proprie, restituisce dati istologici di alterazione cui corrispondono i quadri di insufficienza respiratoria acuta, frequente causa del decesso”. Ma non solo: infatti, “oltre ai polmoni il virus si accanisce sul cuore, nei soggetti cardiopatici. La tendenza alla tromboembolia è stata documentata da grosse ostruzioni dell’arteria polmonare, piccole occlusioni disseminate in vene e arterie periferiche. Questo virus colpisce anche fegato e rene, in maniera meno rilevante”. Proprio a seguito di queste indagini, “è partita l’idea di intervenire sulla coagulazione a livello empirico, con eparina, dopo aver visto il quadro tromboembolico, e usare il cortisone nella virata infiammatoria vascolare”.

Dopo aver scoperto le cause della morte dei pazienti Covid-19, i medici di Bergamo si sono confrontati con gli ospedali di altre città: “Siamo partiti quasi all’unisono con i colleghi dell’ospedale Sacco di Milano- spiega Gianatti-in modo da riunire i dati delle prime autopsie, stiamo aspettando l’ok alla pubblicazione da parte di ‘The Lancet’, primo autore Luca Carsana, ma i dati sono già consultabili on line”. Grazie a quegli esami, si è arrivati all’uso di eparina e cortisone: “Era decisivo capire perché si instaura questa tempesta di citochine. Gli ecografi faticano a visualizzare certe piccole lesioni,che sono visibili solo al microscopio, e il compito toccava a noi”.

Adesso, la situazione sembra migliorata: “I riscontri diagnostici legati alla pandemia sono in esaurimento- spiega il responsabile dell’Anatomia patologica- Gli ultimi decessi si riferiscono a una coda di lungodegenti della rianimazio”. E ora, “l’epidemia dal punto di vista dell’anatomopatologo è sotto controllo, meglio cosi. Abbiamo avuto quadri istologicamente molto differenti. La malattia mantiene le sue caratteristiche, ma ora di casi gravi non ne vediamo più”. E il merito è anche dei medici legali che hanno deciso di realizzare le autopsie, nonostante le direttive del Ministero della Salute.

il giornale.it

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