Arcuri se la prende con tutti per coprire il flop mascherine

Il commissario straordinario cita De Gregori, ma canta sempre il ritornello di Vasco Rossi: «Colpa di Alfredo». Dopo le polemiche per i ritardi in tutte le forniture di sua competenza, convoca l’ennesima conferenza stampa per dire che è colpa di qualcun altro.

Ne ha per tutti e stona: «Critiche ben accette, ma solo dai cittadini». E dopo aver accusato le Regioni, le task force, i cittadini, il Garante della privacy, passa alle farmacie («chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno delle forniture del Commissario, fino a qualche settimana le aveva e le faceva pagare ben di più ai cittadini»), per poi fare dietrofront e accusare di mentire i distributori di farmaci: «C’è un difetto di una rete di approvvigionamento. Perché i distributori delle farmacie non riescono a farlo? Evidentemente non hanno una quantità di mascherine uguale a quella dichiarata». Infine annuncia che presto chiuderà un accordo per distribuirle nei tabaccai.

Dalle farmacie si leva un’ondata di indignazione, riassunta dal presidente di Federfarma Roma Vittorio Contarini: «Chiedo alle istituzioni di prendere le distanze dalle accuse del commissario Arcuri. Infangare la categoria che insieme a medici e infermieri ha sostenuto l’Italia nel momento più grave della crisi, è vergognoso e da irriconoscenti. Sono state multate per speculazione lo 0,19% delle farmacie». Anche dalla politica arrivano strali. Il renziano Davide Faraone ingiunge ad Arcuri: «Giù le mani dalle farmacie». L’azzurra Fiammetta Modena chiede le dimissioni del commissario: «Dittatorello da film di serie B».

Ma il vero problema è che i pretesti non reggono a una semplice disamina, mentre ci si avvia alla Fase 2 disarmati.

Il prezzo. Arcuri conferma il prezzo fisso calmierato a 0,50 centesimi più Iva e sostiene che «non influenza la distribuzione» negando un principio noto fin dall’editto di Diocleziano. Per il commissario, il ristoro offerto alle aziende che avevano sborsato prezzi più alti di 50 centesimi avrebbe eliminato il problema. In realtà crea un meccanismo perverso: il commissario ha fissato il prezzo ma poi propone a singole aziende l’acquisto delle mascherine a prezzi superiori, dopo che il deputato di Iv Mauro Del Barba aveva dato voce all’indignazione delle imprese indotte a investire e poi messe fuori mercato.

Gli accumulatori. «Le Regioni hanno 55 milioni di mascherine nei loro magazzini», ha detto Arcuri, cifre che significano poco o nulla, se non si spiega quanto ci è voluto a fornirle e che consumi dovrebbero coprire. Secondo uno studio del Politecnico di Torino ne servirebbero 35 milioni al giorno. Il commissario se la cava dicendo che ormai ci sono anche quelle lavabili e le fai-da-te.

La distribuzione. «Dall’1 maggio la grande distribuzione ha venduto ai cittadini 19 milioni di mascherine a 0,50 euro più Iva», dice Arcuri sottintendendo che quindi è possibile. Ma in realtà, considerando la potenza di fuoco della grande distribuzione, siamo sempre a numeri molto contenuti. E alcune catene hanno deciso di garantire il prezzo calmierato come mossa di marketing, avendo ovviamente i mezzi per farlo.

La burocrazia. Arcuri si vanta di aver fermato la speculazione. In realtà i casi non sono mancati. E intanto il sistema messo in piedi dal commissario, improntato alla diffidenza, ha creato imbuti nella distribuzione, dai sequestri nelle dogane che hanno scoraggiato l’import alle certificazioni rilasciate a rilento. L’Inail, ad esempio, doveva rilasciare le certificazioni per le mascherine di livello superiore in tre giorni, ma ora l’attesa dura settimane, lamentano le aziende.

il giornale.it

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