Con la crisi 20mila italiani pronti a lavorare nei campi. La fine del mito sui «lavori che non vogliamo più fare»

Roma, 11 mag– I famosi «lavori che gli italiani non vogliono più fare», in realtà i nostri connazionali li vogliono svolgere, eccome. Soprattutto ora, in piena crisi occupazionale causata da due mesi di chiusura delle attività commerciali e produttive. Camerieri, studenti, partite iva, commessi, o semplicemente disoccupati da prima del lockdown; sempre più italiani si vedono costretti a reinventarsi come braccianti – e nei campi c’è posto per tutti. 

Del resto lo aveva detto la Bellanova: quest’anno mancano 200mila braccianti, in gran parte stranieri, impossibilitati a tornare in Italia. Detto, fatto: un esercito di nostri connazionali – ventimila persone accorse a smentire il luogo comune di cui sopra – si è registrato sulle banche dati delle principali organizzazioni agricole. Un’adunata inaspettata che ha costretto le stesse organizzazioni a creare piattaforme per fare incontrare domande e offerte. Un po’ di numeri: dal 7 aprile, in poco più di un mese sulla piattaforma Agrijob di Confagricoltura sono arrivate 17 mila domande – 12 mila circa di italiani. Il 18 aprile anche Coldiretti ha lanciato Jobincountry, a cui si sono iscritti in 10mila circa – di questi, quasi 9 mila italiani. Il 24 aprile è stato il turno di Lavora con agricoltori italiani: in due settimane 2.500 iscritti, italiani: circa 2mila.

Tra riconvertiti all’agricoltura troviamo anche cinque salentini, in precedenza camerieri impiegati presso l’agriturismo Tenuta Monacelli, alle porte di Lecce: «Fino a tre anni fa — spiega il proprietario Giuseppe Piccinni — l’attività agricola, con i nostri 340 ettari, era prevalente. Poi con il boom del turismo c’è stato il sorpasso. Adesso stiamo tornando alle origini: fino a luglio, almeno, staremo fermi sul fronte turistico e allora ho chiesto ai miei collaboratori più stabili di preparare i terreni per impiantare nuovi ulivi al posto di quelli colpiti dalla Xylella: hanno accettato, ben felici di poter lavorare».

La situazione non cambia nemmeno spostandosi verso il Settentrione: «Ci arrivano diverse richieste dalla costa ligure — racconta Domenico Paschetta, della cooperativa cuneese Agrifrutta — da 30-40enni che lavoravano nel turismo. Abbiamo bisogno, tra raccolta e confezionamento, di 500 persone. Negli scorsi anni erano al 90% stranieri. Ma adesso, con la difficoltà a muoversi da Albania, Romania e Polonia, stiamo cercando gente locale senza problemi di alloggio: in passato i Comuni si erano organizzati con strutture di accoglienza, quest’anno con il distanziamento sarà più difficile».

Cristina Gauri

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