Che tempo che fa, la battuta sul coronavirus con cui Luciana Littizzetto ha toccato il fondo: rivolta dei telespettatori

Qual è il nesso -diciamo- semantico? Cosa c’ azzeccano col Coronavirus, e con i ministri in mascherina, e con l’ autorevole virologo Burioni, nell’ ordine: un invito agli Ufo “di venire a farsi bagno nella fontana di Trevi”; la scomparsa di Godzilla; l’intemerata verso Conte che ignora i riti delle parruccheria italiana; e il solito, immancabile richiamo all’ astinenza sessuale? Ad occhio nulla. Trattasi del campionario di svenevolezze che è andato a farcire, domenica, il monologo di Lucianina Littizzetto a Che tempo che fa. Ossia il programma di Raidue che in questo momento produce probabilmente il miglior servizio pubblico sul racconto del contagio della tv.

L’ altra sera, per esempio, da Fazio c’ era il titolare del dicastero dello Sport Spadafora il quale, interrogato dai campioni italiani, ha concesso un’ intervista assai gradevole. E allora perché, nella guerra serale dell’ audience, Massimo Giletti ha battuto Fazio con 8,92% di share contro l’ 8,36% (l’ 8.33% e 2.297.318 telespettatori contro l’ 8,21% e 2.265.108 in sovrapposizione)? Due motivi, credo. Il primo è che Non è l’ Arena, approfittando dell’ emergenza, della voglia di notizie e del temporaneo calo del gossip sta sempre più ragionando in termini d’ inchiesta giornalistica. Ed ecco quindi, i servizi sulla difficoltà delle imprese a ripartire, i reportage sulla sanità, il caso Feltri/Sud; ed eccoti, soprattutto, a far impennare la curva d’ ascolto l’ indignazione vera o presunta – non importa ai fini della narrazione- di Massimo contro il Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, per la scarcerazione del boss Zagaria detenuto al 41 bis.

Speriamo, in termini qualitativi, che Giletti continui così. Ma non è solo questo ad avergli fatto ottenere la seconda vittoria su Fazio. Ho rivisto Che tempo che fa, fotogramma per fotogramma, nella sua versione total news, avvolta nel silenzio solenne, nello studio senza pubblico dove non esistono claque né risate artefatte. E lì ho notato che, in un programma completamente cambiato e virato all’ informazione pura, chi non cambia è, appunto, la Littizzetto. La quale s’ è cristallizzata nel ruolo, prigioniera del suo personaggio. Prima la pantomima dell’ incidente al braccio (o alla gamba, mai capito) i cui progressi da casa, pareri medici compresi, ci hanno ossessionato per mesi; poi i soliti ossessivi richiami -somiglianti ad astuti spottoni- ad un noto mobilificio (ci è sopra l’ Antitrust, mi dicono); infine i collegamenti da casa con ospiti fintamente di passaggio, orchestrati su canovacci basici.

Prima ancora la gaffe nei confronti dell’ operazione al neo della rispettosa Filippa Lagerback visibilmente contrariata per averle «spiattellato in diretta la sue cose». Eppoi le parolacce in un periodo storico che le rende più stridenti del solito: «Ci sono donne che quando fanno l’ amore con il marito gli chiedono caro scusa, ma il picco quando arriva? No, perché la curva mi sta scendendo», «Ti metti quel guantino di merda che non riesci mai a metterlo», l’ esegesi della parola «suca». Tutta roba che vale per la Litti un cachet di 800mila euro all’ anno, 20mila euro al mese per 10 minuti a settimana; e che ha suscitato esposti da associazioni di consumatori. Scrivono su Twitter: «La Littizzetto ha autori mediocri che copiano (malissimo e senza pudore) le uniche battute del suo monologo che riescano almeno a far sorridere. Estremamente sopravvalutata», «Fazio comunque prendine atto: la Littizetto non fa ridere più nessuno». Non hanno torto. Come col primo Crozza a La7: o si cambino gli autori, o il comico

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