Famiglie e imprese: il coronavirus è uno tsunami che travolge l’Italia

Roma, 19 apr –  Il coronavirus come un maremoto sta lasciando solo macerie al suo “passaggio”. Non si tratta solo di un’emergenza sanitaria. Nessuno vede la luce in fondo al tunnel. Davanti a questa crisi il governo si barcamena promettendo bonus a destra e a manca. Purtroppo in assenza di una strategia seria, tutti i personaggi recitano a soggetto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: famiglie ed imprese, già provate da decenni di crisi, ogni giorno vengono soffocate da un nemico invisibile. Andiamo con ordine.

Famiglie a rischio povertà

Anche se siamo ancora in mezzo alla bufera, c’è chi già comincia a fare un primo conto dei danni. La sospensione delle attività produttive (dalla chiusura dei locali pubblici a quella delle fabbriche) ha tolto l’unica fonte di reddito a 3,7 milioni di lavoratori. Questo è quanto emerge dall’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “COVID-19: aumentano le famiglie in ristrettezza economica”. Secondo questa ricerca: “Ad essere più colpite sono le coppie con figli (1.377 mila, 37%) e i genitori soli (439 mila, 12%) con il rischio di non riuscire a fronteggiare le spese quotidiane. Un dato preoccupante se si considera che ben il 47,7% dei lavoratori dipendenti dei settori “che hanno chiuso” guadagnava meno di 1.250 euro mensili e il 24,2% si trova addirittura sotto la soglia dei mille euro”. Nonostante siamo una nazione in piena crisi demografica, l’esecutivo non è stato capace di tutelare chi mette su famiglia.

“Tra gli altri profili sociali in bilico, poi, i giovani (oltre il 60% della popolazione 25-29 anni abitualmente non supera i 1.250 euro), mentre da un punto di vista territoriale è al Sud che si ha la maggiore concentrazione di disagio con una incidenza, tra i lavoratori dipendenti temporaneamente senza lavoro, dei monoreddito, pari al 49,6% (contro il 35,2% dei residenti del Centro e il 34,3% del Nord Italia)”. Nulla di nuovo, per carità. Questa volta, però, le cose potrebbero andare peggio. Il lockdown non colpisce solo i ceti meno abbienti ma anche i lavoratori a reddito medio-basso. Anche per un professionista uno o due mesi di mancato guadagno (a parità di spese) può determinare una situazione di grave disagio. Insomma, anche la classe media è pesantemente danneggiata dal coronavirus. Forse si salverà solo qualche saltimbanco che in televisione ci ammorba invitandoci a stare sul divano per il nostro bene.

Imprese nel caos

Uscendo dalle mura domestiche (solo metaforicamente s’intende) non possiamo fare a meno di focalizzarci sull’asse portante della nostra economia: le pmi. Nel sistema economico italiano operano, oltre 3,8 milioni di imprese, di cui circa il 99% è rappresentato dalle cosiddette Piccole e Medie Imprese (imprese che impiegano fino a 250 dipendenti e che fatturano fino a cinquanta mln di Euro). Le pmi hanno un’elevata importanza nel nostro sistema produttivo: contribuiscono in larghissima misura alla formazione del Prodotto interno lordo, occupano circa l’80% della forza lavoro totale e giocano un ruolo decisivo sullo sviluppo economico nazionale.

La Cgia di Mestre stima che le imprese artigiane hanno subito una perdita di fatturato di almeno 7 miliardi di euro in questo mese di chiusura a causa del coronavirus. I comparti più colpiti sono anche quelli più rappresentativi di tutto il settore: le costruzioni, ad esempio, vedranno una flessione del fatturato di 3,2 miliardi (edili, dipintori, finitori di edifici, etc.) la manifattura di 2,8 miliardi (metalmeccanici, legno, chimica, plastica, tessile-abbigliamento, calzature, etc.) e i servizi alla persona di 650 milioni di euro (acconciatori, estetiste, calzolai, etc.). Se poi passiamo al commercio le cose non vanno meglio. Secondo Confesercenti: “Il 32% delle piccole e medie imprese di commercio e turismo ritiene che la lunga serrata generale potrebbe comunque averle messe a rischio di chiudere definitivamente”. Purtroppo, sono a rischio interi distretti industriali che vivono grazie alle commesse di clienti stranieri. Troppi capannoni che hanno fermato la produzione per colpa del coronavirus rischiano di rimanere chiusi per sempre o di lavorare a ranghi ridotti.

Manca la liquidità ma siamo soffocati dalla burocrazia

Il premier ha promesso con il Decreto liquidità prestiti fino a 25mila euro con garanzia pubblica alle imprese che li hanno chiesti. Ancora non si è visto un euro ma pare che martedì prossimo la situazione verrà sanata. Questo però rischia di non bastare, per rimettere in moto le aziende. I motivi sono due: la somma è esigua (forse basterà a pagare le tasse) e non tiene conto dell’atavico malfunzionamento della nostra burocrazia. Secondo l’associazione degli artigiani mestrini ammonta a 57,2 miliardi di euro il costo che ogni anno grava sulle imprese italiane a causa del cattivo funzionamento della nostra Pubblica amministrazione. Inoltre, la Cgia denuncia che: “A distanza di 10 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, infatti, nessuna impresa è ancora riuscita a ottenere un euro di prestito. Senza contare che da parecchie settimane commercialisti, consulenti del lavoro e associazioni di categoria sono letteralmente sommersi dalle telefonate degli imprenditori che non sanno se e come possono slittare il pagamento delle tasse, come ricorrere alla CIG, quando verrà erogata ai propri dipendenti o se possono tornare a operare”. Alla luce di quanto detto è inutile prendersela con la pandemia: il coronavirus ha solo amplificato i punti deboli della nostra Pa. Parafrasando Ennio Flaiano: “La situazione è grave ma non è seria”.

Salvatore Recupero

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