Trump non vuole perdere l’Italia

La scelta di Donald Trump di portare gli Stati Uniti, già presi sul fronte interno nel contrasto alla pandemia, in campo a fianco dell’Italia per contenere gli effetti del Covid-19 nella penisola è una delle notizie più importanti delle ultime settimane.

Con un memorandum ad hoc la Casa Bianca ha dato istruzione per un coordinato e attivo sostegno da parte del personale militare stanziato sul nostro territorio, delle istituzioni a stelle e strisce, del mondo dell’industria privata, delle organizzazioni caritatevoli.

Trump sistematizza politicamente un processo di sostegno che era già attivo da tempo. Dalla costruzione di un ospedale da campo da parte dell’Ong Samaritan Purse a Cremona alle decine di milioni di dollari donati da parte di colossi finanziari, multinazionali del farmaco e aziende dei servizi e del digitale al nostro Paese il sostegno statunitense non si è fatto attendere. Tuattavia Washington fino ad ora è apparsa sulla difensiva nel campo della capitalizzazione politica di questi aiuti. Tanto è vero che recentemente il segretario di Stato Mike Pompeo era dovuto intervenire in prima persona per frenare una  percepita tendenza all’avvicinamento tra l’Italia e la Cina sulla scia dei vistosi aiuti garantiti dall’Impero di Mezzo.

Una percezione che preoccupa l’amministrazione americana. Tanto è vero che Trump ha dato ulteriore sostanza a questo processo di convergenza e di sostegno degli Stati Uniti con l’Italia puntando con il suo memorandum a estendere l’azione a 360 gradi e a includere sia il necessario coordinamento tra attori pubblici e privati (una mossa “cinese”) che l’estensione degli aiuti al vitale comparto del business, su cui Washington può giocarsi le carte più importanti nella contesa politica del coronavirus.

Gli Stati Uniti sanno che l’Italia è strategica e non possono permettersi di vedere uno storico alleato della superpotenza dubitare dei legami transatlantici. Il governo Conte II, in perenne equilibrio tra Unione europea e Usa, ma con uno sguardo ben fermo anche verso Pechino, ha cercato sin dalle prime battute una legittimazione oltre Atlantico. A baluardo dei rapporti transatlantici è più volte assurto il Quirinale, con Sergio Mattarella attento a definire sin dalle prime battute della XVIII Legislatura la permanenza senza ambiguità dell’Italia nell’area della Nato come una priorità della sua azione di legittimazione degli atti di governo. La chiamata di Melania Trump alla figlia del presidente della Repubblica, Laura Mattarella, ne è la decisa testimonianza. Così come la costanza dei contatti tra Mattarella e Mario Draghi, immaginato come Cincinnato per la prossima fase della risposta all’emergenza politica, sociale ed economica e dotato di salde credenziali di affidabilità oltre Oceano.

Il problema è che tra instabilità politica, crisi economica ed emergenza sanitaria, l’Italia, agli occhi delle grandi potenze, appare come uno Stato vulnerabile su cui è possibile esercitare influenza. O su cui è possibile puntare per cambiare equilibri dati ormai per certi da decenni. Lo ha capito la Cina, lo ha compreso la Russia, non lo ignorano gli Stati Uniti. E si inseguono sospetti sui presunti avvertimenti dei servizi di intelligence agli apparati federali circa i rischi di una scarsa tenuta del sistema italiano, tra rischi interni e pericoli esterni. Motivo per cui Trump, insieme alla movimentazione degli aiuti, ha ancora ricordato di avere dalla sua, pronti all’azione, 30mila soldati di stanza in Italia pronti ad attivarsi per sostenere il Paese nella lotta al coronavirus.

“È normale questa rivalità tra Usa, Cina e Russia”, ha dichiarato a La Stampa il politologo Moisés Naím. “L’Italia soffre da sempre per l’instabilità politica, a cui ora si è aggiunta questa tragedia. Trump ha l’ abitudine di dare la colpa agli altri quando si mette nei guai, ma anche gli Usa sono entrati nel gioco della propaganda” e Trump “ha bisogno degli alleati e non può permettersi di perdere l’Italia”.

Il peso concreto dell’influenza statunitense contrasterà la sottile e affilata infiltrazione russo-cinese nel Vecchio Continente (sharp power)? Nelle intenzioni di Trump sì. Ma il problema maggiore per gli Stati Uniti resta l’inversione dell’inerzia politica: gli States, in questo caso, non hanno il controllo dell’agenda e della narrazione sugli aiuti e il sostegno a Paesi come l’Italia. Le quali tendono piuttosto a enfatizzare, anche per ragioni comprensibili di urgenza, i sostegni di natura sanitaria dispiegati sul breve periodo. Sottovalutando le strategie di lungo periodo, è nei prossimi mesi che gli Usa dovranno giocare bene le loro carte per mantenere solidi legami con Roma.

il giornale.it

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