Il coronavirus travolge le pasticcerie: a rischio gli artigiani

Un punto di ritrovo, un luogo dove darsi appuntamento o semplicemente trascorrere un momento di pausa mentre si osserva un panorama che, prima di diradarsi all’orizzonte, si dirada sulla Valle dei Templi e sul Mediterraneo. Per generazioni di agrigentini la pasticceria gestita dalla famiglia Sajeva ha voluto significare tutto questo.

Ed è tra gli elementi quotidiani che più mancano a cittadini e turisti in tempi di chiusure forzate legate al coronavirus. Oggi anche ad Agrigento, così come in tutta Italia, davanti ai bar, ai locali ed alle pasticcerie non c’è la folla che solitamente sarebbe possibile riscontrare alla vigilia di Pasqua.

Nessuna colomba pasquale, nessun uovo di cioccolato e nemmeno le caratteristiche cassate, molto gettonate tra le famiglie siciliane in questo periodo dell’anno, potrà uscire dalle vetrine oscurate dalla saracinesche rimaste abbassate: “Non posso rispondere adesso a telefono – racconta Calogero Sajeva, il titolare dell’attività prima citata, mentre proviamo a rintracciarlo – Sono impegnato con le consegne”. Anche lui, come tutti i suoi colleghi, sta cercando di salvare il salvabile con il trasporto a domicilio, che qui in Sicilia si può fare solo in questa giornata di sabato mentre è stato proibito domenica e nel giorno del lunedì di Pasquetta.

La storia recente della pasticceria della famiglia Sajeva è forse quella più emblematica di questo periodo. A settembre un cornicione del palazzo della storica sede del Viale della Vittoria, si è staccato travolgendo il gazebo e le vetrine dell’attività. Per miracolo nessuno si è fatto male, ma la pasticceria ha dovuto chiudere. Calogero ha quindi riaperto qualche metro più avanti, poi però l’emergenza Covid-19 ha imposto una nuova chiusura. Ed adesso, così come per tutti i gestori delle attività artigianali e tradizionali, in qualche modo ci si deve reinventare. Con le consegne a domicilio, appunto, oppure aspettando tempi migliori. Ma è molto dura.

La situazione non è nemmeno delle migliori nella altre parti della Nazione. Da Agrigento e quindi dalla Sicilia, passiamo ad un’altra isola: la Sardegna. Qui, in un mese di stop dalle attività, sono stati calcolati circa 15 milioni di euro di danni. A far proprie le lamentele e le difficoltà delle 774 imprese della regione è Confartigianato che racconta di quintali di cioccolato sui depositi che andranno a male, tonnellate di farina e di zucchero inutilizzabili, uova e latte da smaltire. Inevitabilmente le ordinazioni in questo periodo caratterizzato dall’emergenza sanitaria sono state annullate. Circa il 70% delle imprese artigianali che rappresentano il comparto sono in crisi. Il problema di fondo sarebbe dovuto al fatto che le piccole imprese, in questo periodo di emergenza, hanno dovuto fermare la produzione a vantaggio dei prodotti venduti attraverso il canale della distribuzione commerciale.

“Siamo i primi a rispettare le regole per difendere la salute dei cittadini – ha dichiarato il presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, Antonio Matzutzi- ma non accettiamo un’interpretazione della norma che si traduce in una palese e assurda penalizzazione delle nostre produzioni a vantaggio di altre tipologie di prodotti di pasticceria. Così si colpiscono le nostre aziende e si nega libertà di scelta ai consumatori”. Si sentono discriminati i titolari delle pasticcerie che sono stati costretti a chiudere rispetto alla catena della grande distribuzione che invece è andata avanti mettendo sul mercato prodotti simili.

La situazione per i pasticceri non cambia se si va un po’ più lontano, come ad esempio in Toscana. Nella città di Grosseto, non mancano nemmeno gli appelli di aiuto da parte delle piccole imprese dolciarie che sono circa novanta. Mentre le grandi aziende hanno continuato a lavorare, i piccoli artigiani si sono ritrovati a dover fare i conti con la chiusura dei negozi e la conta delle perdite.

Anche qui la rabbia dei produttori che si sentono trattati in maniera differente dalle gradi catene di distribuzione. Da una parte- spiega in una nota Emiliano Calchetti, funzionario alimentazione di Confartigianato Imprese Grosseto- si è consentito a molte imprese della produzione alimentare di continuare a lavorare, dall’altra è stata resa obbligatoria la chiusura a tutte quelle imprese artigiane, con produzione dunque locale, rivolte al consumatore finale, come pasticcerie, gelaterie e pizzerie a taglio che, nel pieno rispetto delle nome anti contagio, avrebbero potuto continuare a lavorare. Una incongruenza, a dir nostro, ma soprattutto un colpo durissimo visto che le disposizioni sono entrate in vigore a ridosso delle feste Pasquali, sottraendo a queste micro e piccole imprese gli introiti necessari per far fronte, nei prossimi mesi, agli stipendi di collaboratori o dipendenti, alle tasse e a tutti gli altri oneri, affitti e spese necessari per sopravvivere”. “Si tratta – continua Calchetti – di una vera penalizzazione a danno dei maestri pasticceri e gelatieri locali e questo a vantaggio di altre tipologie di prodotti di pasticceria come quella proveniente anche da altri paesi”

Che dire poi del fai da te? In quanti in questo periodo hanno rispolverato la vena da pasticceri tenuta nascosta? In molti infatti, non solo per evitare di uscire di casa, ma anche per impiegare alcuni momenti della giornata, si sono dedicati a ricette culinarie mai sperimentate prima per mancanza di tempo. Tutto questo, ha inciso anche profondamente su quello che fino a poco tempo prima era un bisogno. Andare in pasticceria era infatti una necessità ed invece adesso in tanti hanno scoperto di essere dei pasticceri provetta.

E quando la crisi legata al coronavirus passerà, non tutti potranno alzare nuovamente le saracinesche. Il rischio concreto è che di diverse attività resterà solo una sbiadita insegna. E questo si tradurrà, in primis, in un grave danno economico: tra pasticceri, camerieri ed indotto, in tanti potrebbero rimanere senza lavoro. Ma non è da sottovalutare anche un altro tipo di impatto: le pasticcerie e le attività artigianali, sono da sempre anche parte integrante del tessuto sociale di diversi quartieri e diversi tra paesi e borghi lungo il nostro stivale. La loro scomparsa, significherebbe la fine di tradizioni gastronomiche ben radicate nei vari territori, così come implicherebbe la scomparsa di riferimenti sociali che hanno da sempre caratterizzato la vita quotidiana degli italiani. Salvare le pasticcerie quindi, potrebbe rappresentare per tante ragioni una vera e propria necessità per il dopo Covid-19.

il giornale.it

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