L’allarme sui migranti che il governo fa finta di non sentire

“L’Italia in questo momento non è disponibile a dare i propri porti per gli sbarchi nell’ambito della nuova missione Ue in Libia per fermare l’ingresso di armi”: sono queste le parole pronunciate, nel corso di una videoconferenza con i suoi colleghi dei governi dell’Ue, nei giorni scorsi dal ministro degli esteri Luigi Di Maio.

Frasi inequivocabili, che hanno lasciato trasparire la linea attuale del governo italiano volta a dare assoluta priorità al superamento dell’emergenza coronavirus: “Non si tratta di voler essere buoni o cattivi – ha infatti poi precisato Di Maio – si tratta semplicemente di misurare le nostre forze e metterle tutte a disposizione dei nostri concittadini”.

La domanda che però sorge nel leggere queste parole, riguarda se la stessa posizione espressa dal governo in questo caso vale anche sul fronte migratorio e per le organizzazioni non governative. L’improvviso impeto invernale che sta colpendo la Sicilia ed il Mediterraneo centrale in questa parte finale di marzo, non farà porre il problema da qui ai prossimi giorni: il mare è in tempesta e dalla Libia, così come dalla Tunisia, non partirà alcun barcone.

Ma la questione resta aperta per le prossime settimane, specie in caso di prolungamento delle attuali misure stringenti di contenimento del Covid-19: come si comporterà l’Italia in caso di impennata degli sbarchi?

In questo mese di marzo, l’emergenza coronavirus ha quasi azzerato gli approdi. Dopo che il 27 febbraio scorso la nave Sea Watch 3 ha fatto sbarcare 194 migranti a Messina, per quindici giorni il nostro Paese non ha registrato più alcun arrivo irregolare lungo le coste. Un dato nettamente in controtendenza con i primi due mesi dell’anno, visto che prima dello scoppio dell’epidemia l’aumento degli sbarchi in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019 è stato nell’ordine del 900%.

Soltanto a metà marzo sono stati contati alcuni arrivi, con 197 migranti in tutto approdati in Italia. Lampedusa è stata la meta principale e quanto accaduto sull’isola nei 3 giorni in cui si sono verificati gli approdi, appare molto importante per capire la natura del problema: sono bastati 5 sbarchi in tutto per creare numerose difficoltà logistiche.

Sulla più grande delle Pelagie non c’erano luoghi disponibili per far trascorrere la quarantena a tutti i migranti sbarcati. E così, tra gli appelli disperati del sindaco Totò Martello e numerosi sforzi da parte delle forze dell’ordine costrette a distrarre alcune unità dal controllo del territorio, molte delle persone arrivate a Lampedusa sono state trasferite, non senza problemi, a Porto Empedocle.

Se già 197 migranti sono in grado di creare serie difficoltà logistiche, dovute al fatto che tutta Italia è tenuta a rispettare ed a far rispettare le regole di contenimento del virus, la situazione potrebbe diventare critica se i numeri dovessero tornare in linea con l’andamento pre emergenza. Tra le quarantene da dover applicare, le forze dell’ordine e di soccorso da dover dirottare dai primari compiti relativi al contenimento del Covid-19, le autorità potrebbero incorrere in difficoltà non indifferenti.

Per adesso le navi Ong hanno i motori spenti, ma solo perché le misure applicate nei vari Paesi europei non consentono la ripresa delle attività. Ma se domani una delle organizzazioni dovesse tornare in mare, come si porrà il nostro governo? Inibirà i porti come per i mezzi della nuova missione in Libia?

A far pensare, e non poco, è l’attuale silenzio proveniente dal Viminale. Il ministro dell’interno Luciana Lamorgese non si è espressa in merito, né l’esecutivo ha pronunciato parole su possibili piani relativi ad eventuali nuovi sbarchi. E qui a saltar fuori è un’altra domanda, forse la più inquietante: il governo ha in mente realmente in piano per evitare che in piena emergenza coronavirus l’Italia non debba attraversare anche un’ennesima emergenza migratoria?

il giornale.it

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