Coronavirus, dal volo da Wuhan alle mascherine regalate alla Cina: i gravi errori del governo

Roma, 7 mar – E’ il 21 gennaio, il mondo è preoccupato per la diffusione del coronavirus e l’Oms ha già rilasciato varie indicazioni su come contenere l’epidemia. Da poco ha aggiornato a 14 giorni il periodo massimo di incubazione, che prima era fissato a 10. In Italia si invita alla serenità e tutti i voli dalla Cina atterrano tranquillamente senza alcun controllo. A un certo punto ci si accorge che due giorni dopo sbarcherà a Fiumicino un aereo da Wuhan, ovvero la tana del lupo, la città del focolaio del virus. Si avrebbe tempo di bloccare il volo, ma si decide di farlo atterrare comunque nell’aeroporto romano il 23. I 203 passeggeri vengono fatti sbarcare, si misura loro la febbre, non ce l’ha nessuno. E il periodo di incubazione? Un problema che il nostro governo non si è posto. I passeggeri firmano un foglio di autocertificazione sulle loro mete di viaggio e vengono lasciati liberi di scorrazzare per la penisola.

Bloccati i voli ma via libera agli scali

Sempre il 23 era sbarcato a Malpensa un altro aereo dalla Cina, questa volta senza alcun controllo, come un qualsiasi volo da Londra o da Praga, perché la misurazione della temperatura corporea era stata riservata all’aereo di Wuhan e verrà implementata per gli altri voli dalla Cina solo quattro giorni dopo. Il 31 però si scoprirà che a bordo di quell’aereo c’era una coppia proveniente sempre dalla città del focolaio che è risultata ora positiva al coronavirus. Si decide dunque – a babbo morto – di intervenire bloccando il traffico aereo da e per la Cina. Il piccolo, trascurato problema è che in Italia si poteva tranquillamente arrivare tramite uno scalo. Per di più, a questo punto, senza alcuna possibilità di effettuare controlli sui passeggeri che di fatto arrivavano da mete sicure.

Sulle conseguenze di questa decisione è meglio lasciare la parola a un esperto, il giovane immunologo Giacomo Gorini, ricercatore ad Oxford, che in una lettera aperta al suo ex professore, il noto virologo Roberto Burioni, scrive: “Uno degli errori che il nostro Paese ha effettuato è probabilmente quello di avere bloccato solamente i voli diretti dalla Cina, ma non quelli indiretti. Questo vuol dire che, prima che l’epidemia si stabilizzasse in Europa, chiunque dalle zone colpite nella provincia di Hubei poteva prendere un aereo, fare scalo da qualche parte in Europa, e poi raggiungere l’Italia. In contrasto a chi avesse preso un volo diretto dell’Hubei sarebbe stato negato l’ingresso. È quindi probabile, anche se non abbiamo individuato il paziente zero, che sia proprio questa mezza misura ad avere permesso al virus di attraversare i nostri confini, forse anche in più di un’occasione”.

Niente quarantena “razzista”: il caso toscano

A questo proposito, appare addirittura grottesco quanto riportato da un passeggero in un’intervista rilasciata alle Iene pochi giorni dopo il blocco dei voli. Secondo il viaggiatore, infatti, sarebbe stata proprio la Farnesina a consigliargli di fare scalo a Bangkok per aggirare il divieto del governo: in sostanza, come se un padrone di casa consigliasse al ladro da che finestra passare per svaligiare il suo appartamento.

Nel frattempo, mentre Wuhan e l’intera provincia di Hubei sono sostanzialmente blindate con misure draconiane ma l’epidemia ha iniziato a diffondersi nel resto della Cina, il nostro governo si ostina a non voler applicare la quarantena a chi arriva dalla Cina, misura definita impossibile da mettere in campo ma che come si è visto moltissimi paesi hanno poi applicato anche con noi. Sì, perché i voli diretti sono bloccati ma come si è visto le persone continuano ad arrivare senza problemi. In qualche caso, anche in maniera ufficiale.

E’ il caso della Toscana, dove il governatore Rossi annuncia in pompa magna a metà febbraio che 2500 cinesi stanno tornando dalla Cina. Naturalmente nessuna precauzione, né tanto meno isolamento (Rossi ci terrà a precisare che provengono da una provincia dove “si sono registrati 1.162 casi con zero deceduti”, anche se non si capisce in cosa questa circostanza dovrebbe rassicurare), ci si limita ad annunciare l’apertura di un ambulatorio a Firenze e uno a Prato dove chi vuole potrà effettuare test gratuiti. Alla fine dovrà essere la comunità cinese, evidentemente più preoccupata del governatore, a organizzarsi per tentare di predisporre una qualche forma di auto-quarantena. La voce del governo, in tutto ciò, ovviamente non è pervenuta. Del resto come non dimenticare le dichiarazioni del leader di un partito di maggioranza, Zingaretti, che annunciava ridacchiando che il coronavirus è come un’influenza?

20 febbraio: il duro risveglio

Tra errori e pesanti sottovalutazioni arriviamo al 20 febbraio, quando viene alla luce il caso del “paziente 1” (il paziente zero non verrà mai scoperto, e anche questo la dice lunga su quanto la situazione fosse sotto controllo) un giovane di Codogno che a breve si scoprirà aver infettato altre persone, che a loro volta ne avevano infettate altre.

Così, del resto – ma il governo scoprirà la dura realtà solo ora – funziona un’epidemia, soprattutto di un virus appena conosciuto al quale nessuno è immune e per il quale non ci sono vaccini, se non prendi le dovute contromisure. Si scopre anche di un focolaio in Veneto e a questo punto, come unica misura oltre la chiusura delle scuole, viene individuata una piccola zona rossa di alcuni comuni intorno a Codogno. La zona rossa non verrà mai aggiornata (solo ieri dopo più di quindici giorni si è iniziato a parlare di un possibile allargamento) quando invece è evidente già dopo pochissimo che ormai l’area dell’epidemia che si dovrebbe contenere è ben più ampia. Del resto, iniziano ad emergere alcuni casi di contagio fuori dall’Italia (almeno una quindicina nei primi giorni) che provengono da Milano, non da Codogno. Questa circostanza dovrebbe far pensare che forse “a Houston” c’è un qualche problema. Ma da Palazzo Chigi nessun segno di vita.

Coronavirus: rallentiamo il contagio diminuendo i test

Mentre il numero dei contagi continua ad aumentare esponenzialmente, il 25 febbraio Conte e il suo governo hanno una brillante idea: ridurre il numero dei test. Troppi tamponi, si dice, che portano a una drammatizzazione dell’epidemia. Ci si appella a presunte indicazioni della comunità scientifica e due giorni dopo il ministro Speranza dà indicazioni di testare solo i “sintomatici”. Non verranno testati nemmeno coloro che provengono dalla Cina, a meno che non presentino sintomi evidenti. In tutto il mondo si fa in questo modo, ci spiegano.

E’ davvero così? Niente affatto: la Corea del Sud, nazione in cui l’epidemia è iniziata solo 2-3 giorni prima dell’Italia, ha già fatto 110.000 test, contro i soli 23.000 eseguiti da noi. I coreani sono dunque pazzi? Assolutamente no: il loro obiettivo è mappare nel modo più possibile preciso i casi e i focolai principali per realizzare un migliore contenimento. Ad oggi sembrerebbero aver ragione loro, visto che dopo aver avuto nei primi giorni picchi giornalieri di contagio vicini a 1000, ora la loro curva sta scendendo velocemente e ieri ne hanno avuti solo 123 (con un solo deceduto 9 contro i 778 casi e i 49 morti dell’Italia. Allo stesso tempo, come è noto, pare aver funzionato l’energica cura dei cinesi. Dopo un’iniziale incertezza e sottovalutazione, hanno preso in mano la situazione e sostanzialmente isolato per oltre un mese un’intera provincia di 100 milioni di persone per evitare che il contagio prendesse piede nel resto del Paese. Ieri hanno avuto solo 99 contagi, dei quali 74 nella provincia di Hubei e solo 25 in tutto il resto della sterminata Cina.

Le misure del 4 marzo saranno tardive?

Solo col decreto del 4 marzo, ovvero due settimane dopo la scoperta del paziente 1, l’Italia ha messo in campo una serie di misure più rigide non solo con la chiusura per 11 giorni di tutte le scuole e una serie di divieti su eventi e assembramenti. Va ricordato, a proposito delle scuole, che il 25 febbraio il governo aveva impugnato la decisione prudenziale di chiusura delle scuole nella sua regione del governatore delle Marche. E’ servita dunque un’altra settimana per realizzare che quel tipo di misura era opportuna. Nessun intervento invece è stato effettuato ancora sull’allargamento della zona rossa, e mentre scriviamo la proposta è ancora solo sul tavolo del governo. Non sta a noi prevedere se esse tali misure siano ormai tardive, fatto sta che nel caso l’emergenza si aggravi, ancora, molti operatori sanitari rischiano di rimanere senza mascherine. Ne avevamo molte di più di ora, ma su iniziativa del ministro degli esteri Di Maio le abbiamo regalate quasi tutte alla Cina.

Cristiano Coccanari

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